di Giancarlo De Amicis – L’identità è rassicurante per chi si sente identico, ma non lo è per chi si sente diverso. Di fronte a molti che vogliono essere riconosciuti nella loro voluta e perseguita differenza – quindi nella loro identità – ci sono altri che usano la stessa arma contro i primi, per difendere posizioni scontate, acquisite, per affermare vecchie rendite di posizione ed escludere tutto ciò che sta nella gamma del diverso.
Ma si tratta davvero di identità o non piuttosto di identitarismo? L’identitarismo è un mito funesto del nostro tempo, creato da comunità o gruppi di potere che sotto l’egida della identità pensano di difendere vecchi privilegi di natura gestionale, economica e politica, arroccandosi in una sorta di fortino, innalzato per far fronte alle minacce dell’alterità. L’identitarismo è un guscio vuoto che si nutre dei fantasmi del passato e si alimenta di conformismo.
Nella comunità aquilana, ancor più che altrove, lo spazio identitario è rappresentato dal centro storico, il luogo familiare del passato, in cui si sono felicemente amalgamati il dialetto locale con gli stili di vita, i vari personaggi della società civile con le ricorrenze e i gerghi locali. La periferia invece, di recente formazione, è vista come alterità, estraneità, luogo del diverso. Facendo irruzione nel contesto urbano nei decenni ’70 -‘80 e qualificandosi al primo momento come città-dormitorio, essa si è delineata come un palcoscenico di sbiadito significato. Solo dopo il sisma ha cominciato ad configurarsi come luogo di frequentazione sociale, affiancato dallo spazio virtuale costruito da alcuni Gruppi emersi su facebook, da cui riaffiorano, come incontenibile manifestazione della memoria collettiva, i ricordi della vita comunitaria dentro le mura della città.
Concepita solo come modo di condividere il passato ogni identità è un’idea perdente, perché cade nel tranello dell’identitarismo: un’armatura vuota priva di speranza progettuale, che va avanti per inerzia. Più forte è il desiderio di identità, più esso vincola alle strutture del passato, e in ciò facendo, si oppone all’apertura al diverso, in cui il presente va collocato all’interno di un dilatato processo di metamorfosi. Quando la sfera d’influenza della città si espande, l’area caratterizzata dal centro si fa sempre più grande, diluendo la forza e l’autorità del nucleo. Con l’aumentare della distanza si arriva al punto di rottura. Ogni riscoperta della periferia come zona da valorizzare o bonificare, finora si è mostrata come riaffermazione mascherata della preminenza del centro e della dipendenza da esso. La persistenza dell’attuale ossessione concentrica che anima molti cittadini – nonostante sia stata pesantemente messa in discussione dall’evento sismico – fa dei cittadini che abitano la periferia quasi degli esiliati di seconda classe. In tale insistente programmazione, ostinarsi ancora sul centro come nucleo di valore e di senso, fonte di ogni significato, è doppiamente distruttivo: il volume continuamente crescente delle parti dipendenti non solo costituisce uno sforzo decisamente insostenibile, ma significa anche che il centro deve essere sottoposto a una continua manutenzione, ad una modernizzazione poiché, in qualità di luogo principale, paradossalmente deve essere allo stesso tempo il più vecchio e il più nuovo, il più stabile e il più dinamico, deve subire il più intenso e costante processo di adattamento. Questo processo è compromesso perché prevede una trasformazione inavvertibile, invisibile ad occhio nudo, che costringe alla costruzione di una città sotterranea estremamente costosa, con parcheggi, centri commerciali, banche, ecc., realizzati sotto il centro. La periferia aquilana, in tutta la sua eterogeneità inclusiva, libera della camicia di forza dell’identitarismo, sta assurgendo oggi a luogo preminente in cui va palesandosi la metamorfosi. Su questa coordinata e su quella attestata su una comunità tenuta in vita dalla realtà virtuale che passa attraverso facebook, si sta costruendo una nuova identità urbana. Dietro gli schemi oppositivi dell’identità e dell’alterità, questa va rintracciando quell’interazione dinamica di somiglianze e differenze da cui trarre ispirazione per costruire una visione progettuale il cui scenario fisico è improntato alle reti ecologiche polivalenti e dischiuso ad una alterità fondata su un sistema di polarità. Spetta al centro storico ritrovare un suo nuovo ruolo significativo all’interno di questa identità.
Giancarlo De Amicis