Le sere per scrivere e parlare: così l’angoscia diventa racconto

da Repubblica.it del 10 novembre 2009

Scende presto, il buio della sera. “All’albergo ‘La compagnia del viaggiatore’ non si sta male. Crystal e Asia giocano con altri bambini, io e Diego abbiamo il tempo di raccontarci cosa abbiamo fatto durante la giornata. Ma il buio che scende troppo presto ti mette dentro un poco di tristezza. E pensi a quanto tempo hai gia’ passato fuori da casa tua e quanto tempo dovrai ancora aspettare prima di poterci rientrare”. Cristina fa presto a fare i conti. “Cinque mesi fra la tenda e l’hotel al mare e poi due mesi in questo albergo. So che purtroppo dovrò avere pazienza. Martedì scorso, finalmente, siamo riusciti a presentare il progetto per aggiustare il nostro condominio. Ci hanno gia’ detto che per avere l’approvazione dei lavori ci vorranno due mesi, e si arriva a gennaio. Ma in pieno inverno sara’ difficile trovare muratori e carpentieri che possano aggiustare i tetti e le facciate. Insomma, io e Diego abbiamo fatto un po’ di conti e ci siamo detti: se va bene, potremo entrare a casa nostra a maggio”.

Sette mesi e quattro giorni dal sisma, si cerca una vita normale in una citta’ che – senza centro storico – ha cambiato ogni punto di riferimento. “Il traffico e’ impazzito. Eravamo una citta’ tranquilla ma ora tutto e’ cambiato. Se prima per un tratto di strada impiegavi un quarto d’ora, ora ci vogliono due ore. C’e’ chi arriva ogni mattina dal mare per lavorare, chi deve portare i figli a scuola dall’altra parte della citta’… Ci sono liti e insulti fra automobilisti, cose che all’Aquila non si erano mai viste”.

Ieri sera, all’hotel Canadian, dove sono ospiti Claudio e Maria Rita – papa’ e mamma di Cristina e di sua sorella Fabiana – c’e’ stata una piccola festa, per il compleanno numero 4 di Crystal. “Bisogna approfittare di ogni momento “normale”, di ogni ora tranquilla. Devi vivere bene ogni momento felice per rilassarti ed essere poi pronta ad affrontare le asperita’”.

C’e’ stata anche un’altra festa, nella famiglia Milani. “Ci siamo trovati tutti – racconta Fabiana, la mamma di Maila – a casa dei nostri nonni, Loreto ed Elvira. Sono il papa’ e la mamma del nostro papa’ Claudio e mamma Rita. Sono entrati, finalmente, in un appartamento delle Case antisismiche, e ci hanno chiamato subito a inaugurare la nuova casa. Un bicchiere di spumante e tante chiacchiere. Nonna Elvira ci ha detto che appena entrata si e’ spaventata, perché non ha visto i termosifoni. Il nonno le ha spiegato che il riscaldamento e’ sotto il pavimento. E’ contenta, la nonna. Appena ha visto la stufa e le pentole si e’ messa a cucinare. Delle tre parti della nostra famiglia – la mia, quella di Cristina e i miei genitori – soltanto io sono nella mia casa, che non e’ stata danneggiata dal terremoto. Fra dieci giorni, spero di aprire anche il negozio di parrucchiera. Certo, ho addosso una gran fifa, ma le mie ex clienti mi telefonano, mi dicono che stanno aspettando l’inaugurazione. Mi faccio coraggio. Maila a scuola si e’ avviata bene. Ha ritrovato tante sue amiche”.

Dopo le feste, il ritorno di Cristina, con marito e figlie, all’albergo fuori citta’. “Non sappiamo ancora se potremo stare qui fino a quando la nostra casa sara’ pronta. Nell’albergo c’era anche Vittorio, l’amico del signore cieco che stava nella tenda accanto alla nostra. E’ stato male e l’hanno portato all’ospedale. I vecchi rimasti soli sono quelli che soffrono di più, sballottati da una parte all’altra”.

C’e’ tempo per parlare, nelle sere che qui gia’ sono invernali. “Sono tornate le voci e gli allarmi. Tanti hanno paura della nuova “grande scossa” che – lo ripeto, sono voci che rimbalzano da un bar al supermercato, da una scuola a un albergo – dovrebbe arrivare a dicembre. Secondo gli esperti, non c’e’ nessuna previsione seria. Ma c’e’ chi si e’ gia’ preparato. Ha messo in macchina coperte e cuscini, pronto a una nuova fuga. Le “voci” annunciavano però una grande scossa anche a giugno. Per fortuna non era vero nulla. Ma questo tam tam mi ha portato indietro, ai primi giorni dopo il 6 aprile. Ho scritto un racconto, in quelle ore. Ho voluto raccontare l’angoscia che avevo dentro. Se volete, potete leggerlo”.

“Una notte nel cuore” di Cristina Milani

Trovarsi un giorno a raccontare un’esperienza del genere, a vivere una situazione del genere era impensabile. La citta’ che ha sentito il tuo primo lamento, la citta’ che ha contenuto le tue prime storie d’amore, la citta’ in cui hai pianto, riso, la citta’ in cui hai imparato a vivere, ora completamente ferita nell’animo, come specchio di ciò che in noi tale sisma ha provocato, cancellando la quotidianita’ e lasciando spazio solo per i ricordi.

Ricordi che sembrano mantenere vive le giornate, sembrano nutrire amaramente quella sete di normalita’ che diviene sempre più un miraggio, come un pellegrino ormai esausto in mezzo al deserto. Sospesi a meta’, tra il cielo, troppo sconosciuto ed irraggiungibile e la terra, che oramai ha perso la sua stabilita’ e che non e’ più un appoggio sicuro, non e’ più ferma sotto di noi!

Ora appare chiara quale sia la famigerata Forza della natura, decantata spesso come immensa, inarrestabile, finora inimmaginabile. “Rendersi conto della propria limitatezza di fronte a tanta immensita’”: mai nessuna frase può rendere di più l’idea di ciò che si sia potuto provare!

All’improvviso 1″2″3″4″5″6″7″8″9″10″11″12″13″14″15″16″17″18″19″20″21″22″23″ il cambio improvviso, la fine di una vita e l’inizio di un’altra, in cui il senso di sicurezza lascia il posto all’insicurezza. Nulla può farti sentire al sicuro, nulla può risparmiarti da tale esperienza. Il senso d’impotenza ti coglie all’improvviso facendo nascere in te un’anonima reazione istintiva di fuga, verso la sicurezza, che non trovi. Il boato e le sollecitazioni repentine ti svegliano come a voler smuovere l’anima di un depresso dormiente, lasciandoti attonito di fronte a tanta immensita’.

Il caos di alterazioni percettive inconoscibili prima d’ora, mettono in black out il tuo corpo, sperimentando ciò che significa davvero la parola impotenza, nel cui infinito si può sprofondare ed annegare. Visi impauriti sui quali si può leggere il terrore degli istanti vissuti in quei 23 secondi di distruzione, urla provenienti da ogni angolo delle strade, come a voler dare risonanza a ciò che dentro di te ancora non può essere compreso e che ancora adesso si stenta a credere. Nelle strade un fiume di persone svestite della propria identita’ ed incredule di quanto appena vissuto. Terrore, panico che sale e strade piene di sguardi attoniti!

Vite interrotte che non torneranno mai più in quella citta’, vite distrutte da ricostruire e da riorganizzare. 23 secondi troppo pochi per potersi rendere conto di ciò che ancora oggi a distanza di tempo si ha difficolta’ a comprendere e ad accettare. Accettare di dover cambiare la propria vita, i propri progetti, le proprie abitudini; costretti a guardare al passato ciò che fino a ieri era il futuro.

All’alba solo macerie che hanno seppellito con sé centinaia di persone che in quella notte hanno perso il loro sogno per sempre potendo ora riposare con un sonno perenne senza più paure. Negare ciò che succede, ciò che e’ successo e ciò che succedera’, ma non e’ possibile perché in ogni angolo, in ogni strada altro non c’e’ che macerie, crepe e crolli.

Guardando tutto questo scempio si avverte una forte sensazione di sopravvivenza, che ti fa sentire fortunata e allo stesso tempo ci si chiede se sia possibile sentirsi fortunata di poter assistere a tale scempio. Come uno spettatore che viene costretto a vedere un film d’horror che ad ogni scena sente il cuore in gola e pensa: dai che sta per finire. Invece non finisce ed ogni giorno e’ sempre peggio, e’ sempre più difficile andare avanti.

Sisma, magnitudo, macerie sono diventate le parole che si sentono in tutti i discorsi di tutti, come un vento che soffia su tutti e che non smettere di muovere i rami e le foglie. E poi… le nuove scosse, continue che ti entrano dentro e ti stravolgono i pensieri di sempre portando solo catastrofe e terrore alle quali non si riesce a mettere fine.

Mano a mano seppur con estrema lentezza qualcosa cambia, verso una normalita’ che nulla ha di ciò che prima era la normalita’.

E’ ancora troppo presto.

Anche se si sente dire che si deve rincominciare, si deve rinascere, si deve tornare a volare, un imperativo ora che appare invadente e doloroso, che rinnova il dolore ogni volta, perché bisogna fare sempre i conti con ciò che e’ stato e con ciò che ancora e’.

La citta’ che ti ha visto nascere e’ ferita, i campi su cui si andava a spendere le giornate da bambini sono ora ricoperti da tende blu, come pezzi di cielo caduti dal cielo che cercano di dare ricovero, le strade che attraversavi ogni giorno sono ora irriconoscibili e diventano uno spettacolo raccapricciante. Una citta’ agonizzante, in fin di vita con un cuore batte ancora, con i suoi 99 rintocchi, ad ognuno dei quali la nostalgia di ciò che era si fa più forte.