Di Carandini Andrea (da ilCorriere.it del 18 dicembre 2009)
Dieci miliardi per una rinascita rispettosa dell’ identita’ storica. Un intervento selettivo. La conoscenza storica e scientifica dovra’ dettare le procedure per tutte le operazioni di recupero.
Non e’ ammissibile trattare di restauro e di ricostruzione dei centri storici dell’Aquila senza ricordare che potremmo aver avuto meno morti e danni se ci fossimo preoccupati della vulnerabilita’ delle costruzioni, visto che il Paese e’ soggetto per il 60 per cento al rischio sismico. Prendersi cura degli edifici avrebbe dovuto comportare valutare il rischio sismico dei luoghi e apportare i miglioramenti commisurati, per rendere più solide le fabbriche. Questo e’ il modo più efficace e meno costoso di esercitare la tutela, in collaborazione con gli enti pubblici territoriali.
Dal ministero per i Beni culturali sono state elaborate Linee guida per la valutazione e la riduzione del rischio sismico e sono state diffuse circolari, che purtroppo non sono state attuate. Interessano più i costosi restauri della parca e modesta prevenzione. Ora che il peggio e’ avvenuto, non si creda che riavremo quel che si aveva prima.
Avremo memorie, simulacri, di ciò che fu, certamente utili per l’ identita’ dei cittadini, ma pur sempre segni di una catastrofe irreparabile. Mai il terremoto aveva colpito con tanta precisione il capoluogo di una regione, salvo Reggio Calabria. La sfida alla cultura e alle istituzioni per salvare questa parte della Repubblica e’ grande. L’ Aquila e’ nata, come da sempre tante citta’, da un «sinecismo» di villaggi. La sua peculiarita’ e’ che questi villaggi non si sono ridotti o sono spariti con lo sviluppo della citta’, come sovente e’ accaduto, ma si sono conservati: esistono ben 63 frazioni nel Comune, cui ora si aggiungono altri 20 villaggetti stabili, edificati dopo il terremoto: il tutto intorno a una citta’ rovinata e svuotata.
Consentira’ questa eccezionale dispersione un nuovo sinecismo? Sarei propenso ad essere pessimista: sono infatti i cittadini a fare una citta’, per cui se gli aquilani non rientreranno nel centro aggregatore, avremo una Pompei, o peggio una quinta teatrale con outlet. Sarei pessimista, ma si e’ verificato un fatto di eccezionale importanza: gli aquilani intendono riconquistare la citta’ e rifondarla, e questo pulsare della citta’, al di fuori della citta’ proibita, e’ il presupposto della citta’ futura; la volonta’ e’ fortissima, di adulti e giovani. Solo dopo aver verificato ciò, ha senso scrivere di procedure di intervento, di risorse.
Non si dimentichi che, in seguito a tanti terremoti, sono stati affinati strumenti culturali e tecnici e procedure organizzative, di cui sarebbe errato dimenticarsi. Serve una riconsiderazione unitaria, alla luce delle conseguenze del sisma, un progetto organico coerente con la storia dei luoghi e la tragedia. Beni culturali e abitati formano infatti un sistema unico. Conservazione e restauro dovranno mirare a recuperare e valorizzare tutte le strutture architettoniche rimaste: l’ Aquila e’ gravemente lesa, ma in grande parte in piedi. Questi lacerti incarnano la memoria civile della vita prima del sisma. Dovra’ essere pertanto la conoscenza storica e scientifica a dettare le regole della ricostruzione.
La volonta’ di procedere rapidamente, a causa delle intemperie, dovra’ contemperarsi con la qualita’ della progettazione e dell’esecuzione, e questa prospettiva implica combinare competenze sociali, politiche, amministrative, culturali e professionali. Presidente della Regione e uffici periferici del ministero dovranno lealmente collaborare e, terminata l’emergenza, la gestione ordinaria va ripristinata. Bisogna completare le opere provvisionali, comprendendo in esse lo scavo oculato dei crolli e le coperture provvisorie, ripristinare la rete dei servizi estesamente lesa e tener conto, in primo luogo, delle strade e delle piazze principali dal valore altamente simbolico, del terzo della citta’ più rapidamente ripristinabile e della rete degli edifici pubblici, ossatura della citta’.
Andranno evitate impostazioni precostituite e soluzioni standardizzate. Occorrera’ partire da quanto e’ rimasto, dall’identita’ delle singole fabbriche e dalle loro trasformazioni attraverso tempo e traumi, privilegiando le ricostruzioni e i consolidamenti meno intrusivi e l’intervento minimo, fisicamente e chimicamente compatibile. Andra’ prestata attenzione non soltanto alle fabbriche, ma a pavimenti, pitture murali e stucchi, ricorrendo allo strappo solamente nei casi disperati.
Bisognera’ scegliere le procedure di gara più idonee per selezionare le imprese: solo quelle che abbiano alle spalle una comprovata esperienza. Restaurare non e’ un’ opera pubblica qualsiasi. I finanziamenti del ministero e della Protezione civile, disponibili e prospettati, dovrebbero permettere di completare le opere provvisionali. I monumenti che possono avvalersi per il restauro di adozioni da parte di Paesi stranieri sono al momento solo quattro. Secondo il sindaco dell’Aquila la ricostruzione costera’ nell’ insieme e negli anni a venire una decina di miliardi di euro. Sara’ possibile reperirli senza un provvedimento straordinario?
Dal 25 febbraio 2009 Andrea Carandini e’ presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali.
Nato a Roma nel 1937, figlio del diplomatico Nicolò Carandini e’ un archeologo di fama internazionale, docente dell’ Universita’ «La Sapienza» di Roma. Tra le sue opere: «Storie dalla terra» (Einaudi), «La nascita di Roma» (Einaudi), «Sindrome occidentale» (il melangolo), «Remo e Romolo» (Einaudi), «Roma. Il primo giorno» (Laterza), «La casa di Augusto» (Laterza). Nel recente libro «Archeologia classica» (Einaudi) ha accusato alcuni suoi colleghi di «scavomania».