VIDEO: COSÌ IL CUORE AQUILANO 7 ANNI DOPO HA RIPRESO A BATTERE

di Sergio Rizzo – Corriere.it – C’è chi dice che il merito sia tutto di Fabrizio Barca. Se a L’Aquila il centro storico oggi pullula di gru e ci sono migliaia di operai al lavoro, lo dobbiamo tutto, è la tesi, a chi ha capito che la devastazione di una delle città più belle del mondo causata dal terremoto del 2009 fa non poteva essere trattata come un problema degli abruzzesi e degli aquilani. Ma come una questione nazionale. Una svolta impressa appunto da Barca, quando era ministro per la Coesione territoriale del governo di Mario Monti. I finanziamenti finalmente arrivano: in un anno e mezzo 762 milioni per la ricostruzione dei soli edifici privati, con 583 cantieri avviati, di cui 227 nel centro. E di sicuro se non fossero stati commessi tanti errori, a cominciare dalle famose new town costate miliardi e che in qualche caso cadono a pezzi, per continuare con un’assurda moltiplicazione di norme e burocrazia, forse l’Aquila sarebbe già risorta.

Il fatto è che mentre la ricostruzione degli immobili di proprietà privata ha preso a marciare con un ritmo sorprendente, se si considera l’immobilismo di partenza, quella degli edifici pubblici è ancora sostanzialmente ferma. Prova ne sia la circostanza che il palazzo del Comune e quello della Regione, a sette anni dal terremoto, rimangono ancora ingabbiati da grovigli di puntelli. Nemmeno l’appalto per la sistemazione della sede dei Vigili del fuoco è ancora partito. E qui si tocca con mano il problema dei problemi: perché le due velocità con cui sta procedendo la rinascita fisica della città non potrà non avere conseguenze sulla ricostruzione del tessuto sociale. Il rischio è quello di avere un centro cittadino con le case rimesse a nuovo (entro il 2020-2022, si prevede) ma senza le funzioni tipiche di un capoluogo importante. Con riflessi inevitabili, per esempio, anche sulle attività commerciali. La domanda da farsi è se nella classe politica ci sia coscienza di tutto ciò: risposte, purtroppo, non ne abbiamo.

C’è tuttavia la sensazione che quanto sta accadendo a L’Aquila possa rappresentare un’occasione irripetibile per una città che ha più immobili vincolati di ogni altro centro storico italiano, con la sola eccezione di Arezzo. Oggi è il cantiere di restauro più grande al mondo. Dove si stanno sperimentando tecniche assolutamente inedite di consolidamento per edifici secolari, nelle condizioni più disparate. Con la realizzazione di una infrastruttura modernissima: 13 chilometri di gallerie sotto il piano stradale per portare tutti i servizi tecnologici a ogni singola abitazione, dall’acqua all’elettricità, alla fibra ottica. Si tratta di una esperienza unica non soltanto per i progettisti, ma anche per i produttori di materiali. Tanto da poter immaginare di renderla stabile. In che modo?

L’Aquila è già una città universitaria, e grazie alla ricostruzione potrebbe rafforzare questa sua vocazione diventando un centro di alta formazione accademica per il restauro edilizio in tutte le sue declinazioni. Un progetto del genere presuppone l’impegno collettivo non solo delle istituzioni locali, ma anche di chi sta lavorando sul campo: in primo luogo le associazioni dei costruttori e delle figure professionali. Sappiamo che in Italia è sempre molto difficile far funzionare alleanze così eterogenee. Ci sono le rendite di posizione, gli interessi corporativi, perfino le antipatie. Ma da una cosa simile tutti ne trarrebbero un beneficio con un investimento relativamente modesto: le basi ci sono già. E sarebbe davvero un errore non approfittare di quello che sta accadendo oggi per cambiare verso alla tragedia immane che ha colpito la città. Regalando a L’Aquila una seconda vita, anche migliore della prima.

di Sergio RizzoCorriere.it

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