«IL GOVERNO NON È IL BANCOMAT DEL SINDACO DELL’AQUILA»

cantiere_punto_interrogativo_casa_studenteIl ministro Trigilia replica a Cialente: «Inutile chiedere miliardi se la capacità di spesa è limitata».

Ministro, Cialente va urlando che gli avete tagliato i fondi.
«Francamente è sbagliato, e pure inaccettabile, motivare le dimissioni per un presunto abbandono da parte del governo. Parole che si prestano a letture strumentali e che spostano il piano delle responsabilità. Il sindaco è liberissimo di fare le sue scelte, ma se decide di dimettersi, ciò accade solo a seguito di un’indagine della magistratura».

D’accordo, ma i soldi?
«Qui dobbiamo intenderci. C’è stata un’escalation di critiche fino al punto d’indicare il sottoscritto come un ministro incompetente, assente, addirittura disinteressato alle sorti degli aquilani. Le cose non stanno così. E mi spiego: il flusso di finanziamenti per la ricostruzione non si è mai interrotto e mai si interromperà. C’è un impegno politico del governo e il sindaco lo sa bene. È poi vero che gli ultimi stanziamenti sono limitati: 600 milioni. Ciò è innegabile, stante la situazione della finanza pubblica. Ma appunto dobbiamo distinguere: un conto è il flusso di cassa, altro sono gli immobilizzi sul lungo periodo».

Che cosa significa in concreto?
«Che è inutile chiedere miliardi, che tutti sappiamo non esserci, quando poi la capacità di spenderli è sui 500 milioni all’anno. Per dirla con semplicità, non serve a nulla un enorme serbatoio carico d’acqua se poi dal rubinetto passa un filo».

Il flusso. 
«Che dipende da mille cose. Ci sono interdipendenze tecniche che non s’aggirano. E non possiamo prendere in giro i cittadini. È inimmaginabile che il problema si possa risolvere in un anno o due. Occorrerà 1 miliardo all’anno per i prossimi 5-6 anni. Importante è l’impegno del governo, del ministro Saccomanni, del presidente del Consiglio, e mio, a non strozzare il flusso».

Come sta andando il processo di ricostruzione?
«Dal 2009 a oggi sono stati spesi circa 12 miliardi di euro; 43 mila persone, pari al 66% degli sfollati, sono rientrati a casa; all’Aquila sono aperti oltre 3mila cantieri; con l’apertura degli Uffici speciali per la ricostruzione all’Aquila si registra un aumento delle pratiche da 400 milioni di euro annui a 1,2 miliardi. È aumentato il numero delle pratiche esaminate. Naturalmente non nascondo le difficoltà, il problema posto dal sisma è tra i più complessi in termini di ricostruzione. Non si può però sostenere per mesi che l’Aquila è stata abbandonata».

Scusi, ministro, ma con l’Ufficio speciale avete esautorato il Comune?
«Non credo proprio. Lo abbiamo aiutato. I dati che ho citato lo dimostrano».

Avevate sospetti?
«So solo quel che si legge sui giornali. Purtroppo non è la prima volta che la magistratura interviene. Lasciamo che le indagini abbiano il loro corso, ma certo dobbiamo essere ancora più vigili sulle procedure e sui rischi di infiltrazione della criminalità organizzata. Ne avrei parlato con Cialente, ma con lui avrei voluto soprattutto parlare di qualità della ricostruzione. Nei giorni scorsi abbiamo costituito un Gruppo di lavoro con la rettrice dell’università, il direttore del Gran Sasso Science Institute, esperti di sociologia e di economia: il nodo è come affrontare la ricostruzione, con quale visione strategica, quali legami con lo sviluppo del territorio, e se sia condivisibile farlo con uno strumento vecchio quale il Piano regolatore del 1975».

Ora si spiega la rabbia del sindaco: Ufficio speciale per la ricostruzione, Gruppo di lavoro per disegnare la città del futuro, flusso di finanziamenti centellinato dalla Ragioneria dello Stato. Il governo aveva commissariato Cialente?
«Nossignore, però c’è un ragionamento da fare: all’Aquila saranno spesi 18 o 20 miliardi dei contribuenti. È possibile che questo fiume di soldi, di cui in ultima istanza è responsabile il governo, si spenda senza un progetto strategico? Possiamo domandarci se tutto va ricostruito come era e dove era? Anche quello che non aveva valore storico-artistico? Le nostre domande sono legittime. È su questo che avremmo voluto discutere e non solo di quanti soldi arrivano. Un governo non può essere solo un bancomat».

di Francesco Grignetti, La Stampa