L’Aquila, 12 giugno 2012 – Una nota di Amedeo Esposito per la 68a ricorrenza della Liberazione dell’Aquila (13 giugno 1944) dalle truppe d’occupazione naziste che, nei giorni appena precedenti, avevano operato la strage di Filetto, (7 giugno, 17 morti) e quella di Onna, (11 giugno, 17 vittime), mentre il 23 settembre 1943 avevano fucilato e sepolto i 9 giovani Martiri Aquilani.
SOTTO L’ ARCO DI TRIONFO SFILARONO PRIMA GLI ITALIANI E POI GLI ALLEATI
di Amedeo Esposito
“…Cittadini, la soldataglia tedesca, nel disordine della disfatta, dopo aver offerto l’ultimo spettacolo della sua selvaggia ferocia, ha lasciato la nostra Città. Le truppe Italiane e Alleate, circonfuse dell’aureola della Vittoria, sono, trionfatrici, nell’Aquila…accogliete con dignitoso ed acceso entusiasmo le Truppe liberatrici…”.
Con queste parole (riportate in un manifesto del 14 giugno ’44) il commissario prefettizio al comune aquilano, Stanislao Pietrostefani invitò ad accogliere gli Esploratori della divisione paracadutisti “Nembo” e le formazioni Alleate (americani e inglesi), che erano stati preceduti, il 13 giugno di sessantotto anni fa da due motociclisti: un ufficiale irlandese e un bersagliere italiano.
Tutti furono acclamati sfilando sotto l’arco di trionfo (fiori ed alloro) issato all’inizio del corso Vittorio Emanuele, a “capo piazza”.
Alla primitiva scritta Welcome sull’arco, su suggerimento dell’Arcivescovo del tempo monsignor Carlo Confalonieri, poi cardinale, fu anche aggiunto: “ben venuti”, “nella nostra bella lingua italiana”, come disse.
Quando l’ufficiale irlandese e il bersagliere italiano giunsero a piazza Duomo, le campane di S. Massimo suonarono a distesa per la processione di S. Antonio da Padova, che lo stesso Arcivescovo aveva solennemente organizzato in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo.
Tremendi furono, infatti, i tre giorni precedenti la Liberazione, per l’incubo dei guastatori tedeschi, che avrebbero dovuto attuare un preciso piano distruttivo della città: fortunatamente scongiurato dal doloroso ed oneroso intervento del cardinale Confalonieri, il quale affrontò a viso aperto i comandanti dei guastatori, come in precedenza aveva fatto con gli alti comandi delle truppe di occupazione.
Le mine, già disseminate in vari punti strategici della città, furono disinnescate in seguito al “dono” preteso dagli stessi comandanti dei guastatori, di oro (compreso il pettorale dell’arcivescovo Confalonieri) e di tutti i mezzi di locomozione, comprese cento e più biciclette.
L’Aquila fu salva!
La città quel 13 giugno gioì, senza però dimenticare i propri morti: di Filetto, di Onna e i Nove Martiri.
I resti mortali dei Giovani aquilani, dopo nove mesi di silenzio, furono restituiti alla pietà delle loro Madri, e della città intera, il giorno successivo a quello della Liberazione.