da ilCentro
«I morti potevano non esserci e soprattutto essere molti meno tra i giovani. Confido in coloro che devono individuare le responsabilita’: e’ giusto che non si chiami fatalita’ ciò che poteva essere evitato». E’ quanto scrive Guido Bertolaso al padre di un ragazzo deceduto. Sono parole forti quelle che il capo della Protezione civile usa per rispondere con una toccante nota a S.B., padre di uno studente deceduto nel crollo di un edificio, il quale gli aveva inviato una e-mail per invitarlo a dimettersi dopo la tragedia e soprattutto dopo le rassicurazioni, poi risultate inopportune, della Commissione grandi rischi.
«Ho letto la sua scarna e-mail» risponde Guido Bertolaso «con l’a nimo stretto di chi e’ costretto dal dolore altrui a vedere le cose con occhi diversi. Lei scrive parole che per me sarebbero inaccettabili se non sapessi che il loro significato vero lo si capisce solo guardando attraverso le lacrime. Mi sento colpito», prosegue Bertolaso, «dalla infinita stanchezza della sua anima che rifiuta ogni distinzione di competenza, ogni distinguo sulla responsabilita’, ogni analisi razionale dei tempi, dei luoghi e dei fatti perche’ la ragione e i suoi strumenti sono del tutto inutili quando siamo chiamati a confrontarci con l’irrimediabile della morte di chi e’ per noi ragione di speranza e vita. Non pretendo di capire perche’ l’esperienza della morte e’ un fatto troppo personale per essere condiviso e capito. Mi assumo la piena responsabilita’ di ciò che ho fatto e che faccio insieme a quelle di chi non ha fatto e non ha assunto responsabilita’ quando doveva farlo per evitare la morte di persone innocenti per rispetto del suo inconsolabile dolore. I morti dell’Aquila potevano non esserci e soprattutto essere molti meno tra i giovani. Confido in coloro che devono, per loro compito, individuare le resposabilita’ personali dirette, omissioni dolose, irresponsabilita’ colpevoli, perche’ e’ giusto che non si chiami disgrazia o fatalita’ ciò che poteva essere evitato».
«Ma accetto», conclude, «di essere parte della classe dirigente che, nel suo insieme, non ha saputo fare ciò che era possibile per evitare lutti e dolori a tante, troppe, persone. Non so come starle vicino se non esprimendole il più profondo rispetto per ciò che patisce e facendo un passo indietro dal mondo dei miei razionali comportamenti, per accettare in silenzio la sua pena».
I familiari dei giovani universitari deceduti nei crolli delle case private sono stati due giorni fa a Roma a manifestare con un sit in a Montecitorio per chiedere giustizia facendo una importante opera di stimolo verso le istituzioni. «Adesso» hanno detto alcuni dei familiari «pretendiamo che non cada l’attenzione su questa tragedia e andremo avanti su questa linea alla ricerca della verita’ per un dramma che ha colpito 55 famiglie. E’ chiaro che quando lo riterremo opportuno ci faremo sentire».
La manifestazione e’ stata condivisa anche dai rappresentanti dei ragazzi morti sotto la Casa dello studente. «E’ ottima» dice la portavoce di quel comitato, Antonietta Centofanti «l’idea di andare avanti insieme nelle manifestazioni. Non e’ possibile pensare di far marciare insieme i procedimenti penali: più sono complessi e più vanno a rilento e poi presentano problematiche molto diverse». L’inchiesta sulla Casa dello studente, in particolare, e’ vicina alla svolta visto che i sopralluoghi sembrano finiti anche se lo stabile resta sotto sequestro. La consegna dei responsi delle analisi e’ ancora prematura e gli investigatori, da noi contattati, ritengono «una illazione» qualsiasi voce al riguardo visto che si tratta di perizie molto articolate con conclusioni ancora tutte da definire. Del resto sono all’esame centinaia di reperti e una serie infinita di fotografie.