13 novembre 2013 – In Italia, nel triennio 2008-2010, si sono registrati oltre 2,2 milioni di casi di infezioni in ospedale, che hanno portato alla morte di oltre 22 mila pazienti.
Con un costo a carico del Servizio sanitario nazionale che oscilla tra i 4,8 e gli 11,1 miliardi di euro. A scattare la fotografia sono gli esperti riuniti a Rimini in occasione della XLII edizione del Congresso nazionale dell’Associazione dei microbiologi clinici italiani (Amcli).
Secondo Pierangelo Clerici, presidente Amcli, quello delle infezioni ospedaliere è un “fenomeno contenibile che non deve costituire un messaggio di vittoria nei confronti di un tema che ha numerose motivazioni, ma che costituisce comunque una positiva indicazione e stimolo a lavorare perché si possa ricondurre a livelli e medie europee in sé accettabili”.
Gli oltre 900 microbiologi clinici presenti a Rimini discuteranno anche di altre patologie, ad esempio la sepsi, per le quali una migliore diagnosi permette non solo una migliore cura del paziente, ma anche la contrazione dei costi. “Secondo un’indagine americana, il costo per ogni caso di sepsi è di ben 22.100 dollari. Se consideriamo che in Italia l’incidenza è di circa 1 caso ogni 100.000 abitanti, il costo che ne deriva è di 15,5 milioni di euro all’anno“, ha spiegato Clerici.
Tra i temi in agenda a Rimini anche quello delle infezioni multiple. “Si tratta di fattispecie complesse che solo ora iniziamo ad apprezzare grazie alle nuove tecnologie disponibili e che si caratterizzano dall’azione coordinata di diversi agenti infettivi, per i quali occorre individuare in tempi veloci terapie in grado di abbatterne progressivamente la pericolosità complessiva per la salute umana”, spiega Tiziana Lazzarotto, dirigente Microbiologia del Sant’Orsola di Bologna.
Sul fronte dell’Hiv, invece, oltre al rinnovato invito a una precoce sottomissione al test di positività, nel corso dell’evento verranno presentati i risultati di uno studio condotto dal gruppo di ricerca di Riccardo Smeraglia, direttore della Microbiologia dell’ospedale Cotugno di Napoli, secondo cui i pazienti napoletani presentano, nel 12,5% dei casi, ceppi virali resistenti ai farmaci.