(di Elisabetta Tola) – Fare una verifica sismica per capire se un certo edificio rimane in piedi in caso di terremoto è un’operazione, come stiamo raccontando da qualche settimana su Wired, complessa e costosa. E per quanto siamo riusciti a sapere, le verifiche sismiche sulle scuole avrebbero impegnato, finora, almeno 135 milioni di euro dal 2004 a oggi.
L’elevato costo sarebbe una delle ragioni per cui sono state fatte, complessivamente, poche verifiche in tutta Italia, su appena il 10% delle scuole ad alto rischio. Una verifica sismica può costare mille come 10mila euro. I finanziamenti statali però non coprono il costo totale: è richiesto infatti un co-finanziamento da parte degli enti proprietari pari, in linea di massima, al 50% della spesa.
E in tempi di vincoli di bilancio e limitata disponibilità finanziaria per comuni e province, non è semplice reperire i fondi. Ma le verifiche sono necessarie per classificare gli edifici scolastici e capire su quali intervenire con priorità. Il risultato di queste valutazioni di vulnerabilità, lo ricordiamo, è un indice di rischio che va da 0 a 1. Più è vicino allo 0, meno resistente è la struttura.
“Costano tanto perché si devono fare indagini approfondite che prevedono prelievi di materiali e studi approfonditi della struttura” dice Tomaso Trombetti, ingegnere sismico dell’Università di Bologna “E un’analisi seria ha tempi e costi che risultano purtroppo fuori mercato nelle gare fatte sempre al ribasso”.
L’importo base per fare una verifica si trova già nell’ordinanza 3362/2004, che stabiliva i primi stanziamenti, ed era a scalare: più grande la scuola, minore in proporzione il costo a metro cubo, a partire da 2,5€. Per esempio, valutare una piccola scuola di 2mila metri cubi (un piano, 500 metri quadrati con poche aule e un’altezza di 3,5 metri), costerebbe circa 5mila euro. Scuole molto più grandi arrivano quindi facilmente alle decine di migliaia di euro.
“L’impegno e la quantità di analisi da svolgere sono commisurate alla dimensione degli edifici”. SpiegaAngelo Masi, ingegnere sismico dell’Università della Basilicata, “D’altro canto, se le valutazioni sono fatte senza tutte le analisi previste, sono inutili e non consentono poi di stimare correttamente gli interventi. Dato che la messa in sicurezza degli edifici costa ben di più della verifica, una buona valutazione della vulnerabilità serve anche a ridurre la spesa successiva”. A questo va aggiunto che le analisi non servono solo a stilare una classifica per gli interventi. “Una analisi ben fatta è utile anche perché permette all’ingegnere di individuare gli elementi critici specifici di un certo edificio”, aggiunge Tomaso Trombetti, “Dà quindi un quadro di riferimento per poter intervenire, è una diagnosi più accurata che permette di passare più efficacemente alla fase operativa, quella dell’intervento di consolidamento”.
Il problema delle verifiche, naturalmente, riguarda soprattutto gli edifici costruiti prima delle norme di progettazione antisismica. In un certo senso, per i tecnici, è implicito che edifici vecchi non abbiano le stesse caratteristiche di resistenza di quelli nuovi.
“La verifica di un edificio esistente è forse una delle sfide più complesse per un professionista. Il primo passo è conoscerlo, capire com’è fatto” spiega Angelo Masi. Per costruzioni molto vecchie non si conoscono nemmeno i materiali di partenza, che spesso sono pure stati rimaneggiati nel tempo. “Le indagini iniziano dunque con veri e propri prelievi di campioni di materiali che vanno poi analizzati in laboratorio”. continua Tomaso Trombetti.
Per le strutture antiche è assai difficile arrivare a una conoscenza molto approfondita. Ma anche in quelle nuove l’analisi non è semplice. “Se sto valutando una scuola in cemento armato devo capirne struttura, dimensione e composizione degli elementi, come ad esempio i pilastri. E poi, nel cemento armato, c’è un elemento invisibile, il ferro. E quindi dobbiamo fare una specie di radiografia, capire quantità e qualità dei materiali impiegati”. spiega ancora Angelo Masi, “Ma non finisce qui. Materiali molto buoni al tempo della costruzione, se questa è molto vecchia, potrebbero non essere altrettanto validi oggi, e quindi vanno analizzati anche sotto questo aspetto”.
E’ importante sottolineare, come fa Tomaso Trombetti, che le valutazioni sono fatte con ampi margini di confidenza. Alla prova dei fatti, gli edifici possono anche essere più resistenti di quanto stimato. “Il terremoto emiliano del maggio scorso, per esempio, ha dato accelerazioni dell’ordine del 30% della forza di gravità” aggiunge Trombetti “Gli edifici nuovi sono progettati per resistere ad accelerazioni del 20%. Quindi le forze in gioco erano superiori di una volta e mezza rispetto a quanto previsto dalle norme antisismiche. Avremmo dovuto vedere danni anche sulle scuole nuove, ma non è stato così. E anche molte scuole più vecchie hanno resistito bene”.
Una volta completate le analisi, si passa ai modelli ingegneristici. L’indice risulta da una serie molto complessa di valutazioni numeriche che stimano, a diverse intensità sismiche, il rischio di collasso di diverse parti dell’edificio. Per ogni scuola verificata esiste dunque un fascicolo con una descrizione accurata di tutte le analisi fatte e una scheda che ne riassume i risultati. “Sostanzialmente, confrontiamo la capacità di resistenza dell’edificio vecchio con quella di uno nuovo” continua Trombetti. La stima dipende sia dalle caratteristiche intrinseche della struttura che dalla zona su cui è costruita, che ha diversi gradi di pericolosità sismica. Fondamentalmente, l’indice è dato dal rapporto tra la capacità dell’edificio a resistere e la forza di accelerazione attesa in caso di terremoto. Maggiore la capacità, più siamo vicini all’IR 1 o superiore. Quando la capacità è inferiore alla domanda, cioè alla sollecitazione data dal terremoto atteso, andiamo verso lo 0.
“Una vulnerabilità alta serve a indirizzare e programmare gli interventi” conclude Masi, “Ricordandoci che comunque la lotta contro il terremoto è anche una lotta contro il tempo. E quindi non solo dobbiamo intervenire per la messa in sicurezza ma dobbiamo farlo in tempi congrui”. Perché, e questo i tecnici lo sottolineano con forza, è meglio intervenire comunque e innalzare la sicurezza risolvendo le situazioni di vulnerabilità macroscopica, che non attendere tempi lunghi per fare interventi molto sofisticati.
(fonte: Wired.it – photo: Getty Images)
This opera is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.