COME SOPRAVVIVERE AI CONVEGNI SULLE SMART CITY E POI FARLE DAVVERO

Non oso dire che parlerò di smart city, non so come fare. Aiuto! Una locuzione aggettivale così logora, abusata e sostanzialmente indeterminata, che tutti quanti siamo ormai dovuti passare alla “declinazione secondo”: la smart city secondo Tizio o quella secondo Caio.

E poi, questo sinceramente è divertente, i convegni sul tema che, in realtà, sono sitcom, sedute di autocoscienza, di psicoterapia di gruppo, dove persone usualmente e notoriamente sagge e di buon senso si trovano solo per rispondere alla domanda del giorno: “Ma… insomma, cos’è per te una smart city?”. E dove ciascuno, irresistibilmente contagiato dall’ansia da prestazione, cerca in tutti i modi di dire qualcosa di intelligente, diverso, originale, rovistando nella propria testa nel tentativo di produrre uno show adeguato.

Però ci siamo in mezzo. Insomma, siamo in ballo e tocca ballare. Anche se, come nella mitica scena di “Io sono un autarchico” di Nanni Moretti (1976), si sentirà probabilmente implorare: “No! Il dibattito no…”. Dunque, ci siamo. Secondo noi (diciamolo pure, perché la leggenda non venga meno) i pilastri sono notoriamente tre, le infrastrutture (reti wired, sistemi WiFi e open-g-cloud), il mondo dei dispositivi, quello, tra l’altro, dei cicli sensing&acting e poi l’insieme dati, dei contenuti e dei servizi, dove sta anche l’online e l’e-gov.

Per capirci qualcosa, dobbiamo tuttavia porre una domanda, che chiama in causa direttamente questo blog: “Che futuro?”. E, si badi bene, non si guarda al futuro di chissà quando, al giorno del mai. La questione è quella dei prossimi tre o quattro anni, quando i nostri progetti, anche i fortunati finanziati dal bando del MIUR di questi giorni, saranno nel pieno della loro attuazione. Perché, nei dibattiti di cui sopra, si ha la sensazione di vivere soltanto un particolare momento storico, nel quale le nostre città debbano soprattutto imparare a cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia (di oggi) per migliorarsi la qualità della vita dei cittadini, la sostenibilità, la democrazia et cetera.

In realtà siamo già sulle montagne russe, sull’ottovolante, anzi su uno dei quei roller coaster terribili, altissimi, da mozzare il fiato.

E, avendo completato la rampa di salita, siamo appena arrivati in cima, fermi sul punto più alto e pronti per la sarabanda. Cosa c’è dopo, ce lo dicono chiaramente gli studi sul mobile usciti in questo primo semestre 2012. Si prevede, più o meno da parte di tutti, una esplosione dei dispositivi mobili connessi a Internet e, più importante, del relativo traffico dati. A questo possente sviluppo fa simmetrico riscontro il declino, ormai segnato, dei PC tradizionali che, fra quattro anni, non supereranno il 25% dei dispositivi collegati.

In particolare CISCO stima che il traffico cloud mobile rappresenterà oltre il 70% del traffico dati mobile totale, rispetto al 45%, per fissare le idee, del 2011. L’incremento, soltanto tra il 2015 e il 2016, sarà pari al triplo dell’intero volume di traffico Internetmobile stimato per l’anno 2012. Gli smartphone, i tablet e gli altri portatili genereranno circa il 90% del traffico mobile globale entro il 2016, una fetta del 5% andrà al M2M (machine to machine), tipico dei cicli acting&sensing, mentre i gateway mobile a banda larga residenziali copriranno il rimanente 5%.

Le implicazioni a livello urbano e di area metropolitana, sono molteplici. Perché, se è vero che, entro il 2016, il 60% degli utenti mobile (3 miliardi nel mondo) andrà a generare oltre 1 gigabyte di traffico mensile, bisognerà anche capire, quel gigabyte, di cosa sarà fatto.


E soprattutto quale sarà il ruolo della PA nella produzione di tutto questo ben di dio di roba che frulla nella Rete.

Buona parte della crescita (oggi nel “Gigabyte club” c’è meno dell’1% degli utenti) è certamente technology pushed, spinta cioè dalla disponibilità di dispositivi sempre più potenti e reti (4G e WiFi) sempre più veloci. Ma a noi interessa, almeno nelle conseguenze, l’altro pezzo, il traino intellettuale dell’innovazione. Perché la “smart city secondo noi“ è tale solo se è in grado di intercettare e rilanciare la spinta etica e di crescita sociale e culturale che circola nella rete. Wikitalia insegna.

I cittadini sono notoriamente produttori oltreché fruitori di contenuti.

Vogliono i prodotti on demand, le informazioni localizzate “intorno a loro” per i diversi canali tematici e profili utente. Vogliono però anche dire la loro, chiedono ascolto. E, via via che arriveranno le opportunità, saranno sempre maggiori le risposte, anzi l’interlocuzione continua, che pretenderanno da parte del servizio pubblico. Se non saremo pronti, perderemo irrimediabilmente la nostra occasione e, se è consentito un pizzico di catastrofismo, lasceremo un varco aperto alle derive più impensabili.

È evidente, in questo contesto, che l’attenzione che molti di noi spingono (giustamente) verso la domotica, la mobilità sostenibile, le reti di sensori, debba avere (almeno) uguale riscontro sull’altro corno del problema, quello appunto dell’open, del flusso dei contenuti, della gestione della partecipazione. Questo fianco scoperto è purtroppo per buona parte lontano dagli interessi (del tutto legittimi) deiplayers industriali impegnati sul fronte dell’innovazione nelle nostre città. Ergo è un ramo depresso, un po’ fuori dal giro, che non trova una adeguata attenzione, una linea metodologica, un inquadramento complessivo.

Bisogna attrezzarci, e subito. Occorre sviluppare gli open data, per cui i cittadini, nel fritto misto di Internet, possano disporre di dati pubblici, liberi, affidabili e certificati e incoraggiare il crowdsourcing di app e visualizzazioni . Dobbiamo rafforzare i servizi, lavorare nelle scuole, semplificare la vita alle nostre aziende. Ma, più complessivamente, definire le strategie per la raccolta, gestione e disseminazione di contenuti, dati, testi, immagini, filmati, la parte che ci compete di quel dannato gigabyte, attraverso infrastrutture pubbliche, forti ed efficienti. Altrimenti, nella sarabanda del roller coaster, rimarremo a bocca aperta, muti, senza sapere cosa dire.

Firenze, 10 agosto 2012
GIOVANNI MENDUNI (*)
da chefuturo.it 

(*) Ingegnere ambientale, sono il coordinatore dell’Area Programmazione, Sostenibilità e innovazione presso il Comune di Firenze. Mi occupo di ICT management, politiche di sostenibilità ambientale, pratiche di e-gov, smart city, cloud computing e sviluppo della banda larga.