Ecco il piano eco-sostenibile dell’Ocse. Ma gli abitanti aspettano ancora una casa. Monti metterà il sigillo al progetto che sarà presentato nei laboratori del Gran Sasso. Le idee dei giovani architetti locali per trasformare la tragedia in una opportunità. Una rete digitale per migliorare tutti i servizi.
(di Riccardo Luna, da Repubblica.it) – Ci vuole tanto coraggio per venire a parlare di smart city a chi non ha più una city perché un terremoto se l’è portata via ormai tre anni fa. Ci vuole tanto ottimismo per parlare di soluzioni intelligenti a chi in questi anni ha subito la stupidità di chi poteva decidere per il bene comune e non lo ha fatto. I professoroni sbarcati ieri a L’Aquila sono giovani, coraggiosi e ottimisti. Lavorano per l’Ocse, l’organizzazione mondiale per lo sviluppo e la cooperazione economica. Vengono da dieci paesi e cinque continenti. Dicono con entusiasmo frasi come “L’Aquila is beautiful” oppure, in italiano, “vi porto i saluti degli abruzzesi della Nuova Zelanda”, e pensano che questo possa lenire le ferite del cuore. Sembrano ingenui ma non è così. Per molti mesi, mentre qui tutto era fermo, hanno studiato la situazione, hanno fatto tante interviste e ieri si sono presentati con un piano. Un grande piano.
Si chiama “Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila”, ovvero “come rendere una regione più forte dopo un disastro naturale”. La parola magica è smart city. Ovvero la città intelligente. La terra promessa attorno a cui lavorano in tutto il mondo architetti, ingegneri, ambientalisti per costruire un pianeta migliore.
Un modello chiaro e definito di cosa sia una smart city ancora non esiste, ma l’Unione Europea ha stanziato svariati miliardi di euro per spingere almeno trenta città europee a diventare smart entro il 2020: tra le cittàitaliane Genova ha appena vinto la gara con Torino aggiudicandosi i primi tre lotti. Ma è solo l’inizio. Il ministro Profumo ha messo sul tavolo altri 200 milioni per chi volesse realizzare progetti “smart” in alcune regioni del Centro sud. Intanto il progetto dell’Expo 2015 ha abbandonato la via degli orti urbani e preso con decisione quello della smart city ottenendo così i soldi e la tecnologia di Telecom, Cisco, Accenture, mentre altri nove partner sono in arrivo per un totale di 400 milioni di euro di fondi privati da investire in un quartiere di Milano.
Cosa vuol dire “smart”? Vuol dire meno traffico, meno inquinamento, energia pulita, niente file e tante altre bellissime cose. Il presupposto è dare Internet a tutti, persone ma anche oggetti: lo scenario sono migliaia di sensori che mandano dati in tempo reale a supercomputer che li analizzano trovando soluzioni per farci vivere meglio in città sempre più affollate. Ma non basta Internet a rendere una città intelligente. Contano anche i materiali (più legno meno cemento, per esempio). E i comportamenti delle persone: con azioni stupide è impossibile avere una città intelligente. Insomma come ha spiegato qualche giorno fa il direttore del centro Nexa, il professor Juan Carlos De Martin, “una città digitale non è necessariamente smart, mentre una città smart è necessariamente digitale”.
Ma torniamo al piano. Oggi i professoroni guidati dagli olandesi della università di Groningen lo presentano in pompa magna nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso, uno dei gioielli della ricerca italiana. Uno dei pochi simboli felici della regione. Non sarà un momento banale: nel corso della giornata è atteso anche il presidente del Consiglio Mario Monti che secondo molti verrà a mettere il sigillo del governo sul progetto “L’Aquila Smart City” dopo che anche Expo2015 ha detto di voler mettere a disposizione le proprie soluzioni tecnologiche per la ricostruzione. Vedremo se sarà così.
Ieri pomeriggio intanto il piano è stato anticipato agli aquilani. Si chiama strategia di “condivisione e partecipazione”. O anche “ricostruzione dal basso”. Serve a creare consenso, ma anche a fare piani migliori. L’appuntamento era alle tre del pomeriggio nel ridotto del teatro comunale, proprio nel centro storico sventrato, tra macerie e transenne che sembrano eterne, come fossero monumenti alla nostra incapacità di ripartire. La sala era strapiena, gonfia di umori cattivi e con qualche speranza che affiorava negli applausi convinti dopo i discorsi dei professori Ocse, così belli e astratti a volte.
In ventesima fila, come un cittadino qualunque, c’era Fabrizio Barca, che non è solo il ministro che ha avuto dal premier Monti la delega ad occuparsi della ricostruzione. È anche l’artefice del piano l’Aquila Smart City. La storia è questa. L’idea di una ricostruzione intelligente non è venuta ai signori dell’Ocse, ma ai giovani architetti aquilani. Meno di un mese dopo il sisma si sono costituiti in una associazione che hanno chiamato “Collettivo 99”, dove collettivo non ha il senso di una collocazione politica, ma solo di un lavoro comune, tengono a precisare; mentre 99 è il numero che rappresenta la storia dell’Aquila, i castelli della fondazione, le piazze, le fontane. Insomma i giovani architetti aquilani, mentre il governo Berlusconi e la Protezione Civile di Bertolaso allestiscono in fretta case provvisorie e danno il via alla solita ricostruzione all’italiana, scrivono documenti su documenti per dire che il dramma del terremoto può essere una opportunità, perché con le nuove tecnologie si può ricostruire una città migliore, con spazi comuni diversi, verde ed energia al centro di tutto. Una smart city. Naturalmente non li ascolta nessuno.
Ma in qualche modo riescono a far sì che una parte degli otto milioni di euro raccolti da sindacati e Confindustria, in un fondo di solidarietà, vengano usati per uno studio strategico. Così arrivano al ministero dello Sviluppo Economico e lì intercettano Barca, che allora era un alto dirigente con eccellenti contatti all’Ocse. Il piano parte così. Per questo alla fine non è tanto diverso dalle cose che scrivevano gli architetti aquilani. In più dice tre cose. Indire una gara internazionale per la ricostruzione. Candidare l’Aquila a capitale europea della cultura del 2019. Diventare un laboratorio mondiale di innovazione.
Poi si sono alzati i cittadini aquilani. Con il dolore impresso sul viso e nella voce la rabbia per essere stati ignorati finora. Hanno detto che L’Aquila intelligente è una cosa bella, certo, ma prima di tutto vogliono tornare a dormire in una casa. Prima di tutto.