Un’ondata di gelo sulla Siberia e l’Italia si copre di neve e ghiaccio. Sarebbe la risposta del pianeta al riscaldamento globale. Oppure c’entrano le macchie solari? Lo abbiamo chiesto a un climatologo.
“Oramai è chiaro: in Italia quella che stiamo vivendo è davvero una delle ondate di gelo e neve più intense degli ultimi 100 anni”. A dirlo è il meteorologo e climatologo Mario Giuliacci, che di inverni così in tutta la sua carriera ne ha visti ben pochi. Di certo non si parla di record, almeno non per il momento.“Questo tipo di valutazioni andranno fatte in seguito – sottolinea Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche – quando questa pertubazione gelida passerà”. Per il momento gli esperti si slanciano solo facendo paragoni agli storici inverni del 1929, del 1956 e del 1985, ma non più di questo. Di certo c’è che i romani non vedevano la Capitale così imbiancata da oltre un ventennio.
Se questa perturbazione gelida sia un segnale del clima che cambia è ora oggetto di dibattito, così come l’eventualità che i prossimi inverni siano particolarmente freddi come questi. Al momento ci sono solo teorie. Tra queste c’è quella cosiddetta della compensazione, secondo la quale questo freddo sarebbe la risposta del nostro pianeta al riscaldamento globale. Questa tesi, partendo del presupposto che la Terra si stia riscaldando da oltre un ventennio, sostiene che inverni eccezionalmente rigidi e nevosi siano l’effetto di una sorta di meccanismo di compensanzione alle temperature globali medie sempre più alte. “Il graduale riscaldamento del nostro Pianeta – spiegaGiuliacci – non è costante e uniforme. Al contrario, in alcune annate la Terra è sembrata temporaneamente raffreddarsi”. La Nasa, tramite dati provenienti dalle stazioni al suolo e dagli strumenti dei satelliti, ha verificato che gli inverni del 1929, del 1956 e del 1985 sono stati talmente rigidi che negli stessi anni è stato registrato un rallentamento del riscaldamento del nostro pianeta.
“Tutto questo fa pensare – dice Guliacci – che l’attuale discesa di correnti gelide dalle alte latitudini (in particolare in questo caso dalle regioni siberiane) verso il cuore del continente rappresenti l’ennesimo tentativo dell’atmosfera di compensare lo squilibrio che sta creando al suo interno, con il rapido surriscaldamento in atto, per cui il 2012 potrebbe risultare, a livello planetario, una delle annate più fresche dell’ultimo periodo”. Un’altra teoria però associa gli inverni particolarmente rigidi, come questo, all’attività anomala della macchie solari. Mike Lockwood, professore di fisica dell’ambiente spaziale all’ Università di Reading (Regno Unito), ha effettuato uno studio in cui il rigido inverno 2009-2010 che ha riguardato gran parte d’Europa è stato associato all’anomala bassa attività delle macchie solare dal 2004 al 2010.
Lo scienziato ha analizzato l’andamento delle macchie solari negli ultimi 9mila anni e ha scoperto che l’attività solare ha periodi di circa 300 anni durante i quali il numero delle macchie solari è in lento ma costante aumento, seguito poi però da periodi di circa 100 anni con un’attività solare quasi evanescente.
“Il più recente periodo di bassa attività solare – riferisce Giuliacci – è avvenuto dal 1620 al 1720 circa (proprio nella parte centrale della piccola era glaciale), ed è noto come minimo di Maunder. E in effetti durante tale periodo l’Europa patì gli inverni più rigidi che si ricordino a memoria d’uomo. Poi dal 1720 ad oggi l’attività solare è stata via via in aumento, seppure lento, fino agli anni ‘80 ovvero, appunto per quasi 300 anni”. Dal 1985 circa, secondo Lockwood, il sole starebbe andando verso una progressiva diminuzione della sua attività, in termini di numero di macchie solari. “Il sole eccezionalmente pigro degli ultimi anni dal 2004 ad oggi sarebbe un campanello d’allarme dell’avvio della nuova fase, la quale potrebbe sfociare nei prossimi decenni in un nuovo minimo di Maunder”, dice il meteorologo. Da qui la previsione di un aumento degli inverni rigidi in Europa nei prossimi decenni.
(da wired.it)