Il Tar Abruzzo aveva decretato nullo lo sgombero di un alloggio assegnato a padre e figlia
L’Aquila. Chi la dura la vince, dice il proverbio. E probabilmente Antonio Congeduti non si sarebbe mai aspettato di dover attendere una sentenza del consiglio di stato per far valere i propri diritti. A dicembre 2010, infatti, il Tar aveva gia’ accolto il ricorso al decreto di sgombero ricevuto, relativo dall’alloggio assegnato nell’ambito del progetto CASE.
Alloggio assegnato a padre e figlia, con quest’ultima avente domicilio a L’Aquila, presso l’abitazione del padre, e residenza nella citta’ di Bologna in cui studia, come peraltro indicato gia’ in sede di primo colloquio. Il Tar aveva riscontrato che la figlia del ricorrente aveva tutti i requisiti per l’assegnazione dell’alloggio, indicando nella sentenza che e’ “domicilio” il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, che ben può non coincidere con la residenza, ammettendosi la possibilita’ di pluralita’ di relazione tra l’individuo ed il territorio.
La sentenza del Tar osservava anche che la condizione del ricorrente non era “in ogni caso assimilabile a quella di un ‘single’” e che un padre “conserva il diritto-dovere di mantenere una relazione, anche abitativa, con la figlia; tanto più che quest’ultima non ha reddito proprio, circostanza che qualifica ulteriormente una permanente relazione familiare che va certamente considerata ai fini dell’assegnazione dell’alloggio.”
Il consiglio di stato, con ordinanza depositata il giorno 1 giugno 2010, presidente Anna Leoni, consiglieri Sergio De Felice, Sandro Aureli, Raffaele Potenza, Andrea Migliozzi, ha ritenuto di respingere il ricorso numero 2599/2011, proposto dalla SGE contro Antonio Congeduti, rappresentato e difeso dagli avvocati Giampiero Berti e Giovanni Coletti.
«I motivi di appello, relativamente alla nozione di famiglia, di convivenza e domicilio, non paiono muniti di apparente fondatezza», si legge nella sentenza.
SGE condannata anche al pagamento delle spese, liquidate in complessivi euro duemila. Un piccolo risarcimento, che non ripaga ne’ delle spese sostenute, ne’ dello stress psicologico che si aggiunge alla condizione di terremotato, e sfollato.
I veri colpevoli sono da ricercare altrove, fra coloro che hanno gestito malamente la seconda fase dell’emergenza. Propensi più all’alta redditivita’ degli interventi eseguiti, senza controllo alcuno, che alla completa soddisfazione dei bisogni abitativi degli sfollati.
Patrizio Trapasso