La competenza e’ dei sindaci assegnatari. Precisazioni su residenza e domicilio
Nuova sentenza del Tar Abruzzo, depositata il 25 maggio 2011, che meglio delinea le responsabilita’ relative all’assegnazione e revoca dei MAP (Moduli Abitativi Provvisori).
La ricorrente, dipendente del Ministero degli Interni in qualita’ di agente della Polizia di Stato, ed in servizio in provincia di Varese, ha sempre mantenuto la residenza anagrafica in L’Aquila, in quanto centro di riferimento della sua esistenza sia sotto il profilo affettivo che materiale, indicando una serie di elementi in tal senso ritenuti sintomatici.
Con provvedimento del 27 luglio 2010, la SGE (Struttura per la Gestione dell’Emergenza) ha tuttavia ritenuto che “tutta la documentazione prodotta … relativa al periodo antecedente il sisma, attesta la sua stabile dimora in altra citta’”.
Ma i magistrati Cesare Mastrocola (Presidente), Paolo Passoni e Alberto Tramaglini (Consliglieri) hanno confermato, come richiesto dalla ricorrente, l’incompetenza della struttura commissariale nella decisione di revoca.
La decisione si basa sull’art. 9 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2009 n. 3813, la quale dispone che “i sindaci dei comuni interessati provvedono ad assegnare ai nuclei familiari aventi diritto, i Moduli Abitativi Provvisori (MAP)”.
Qualificandosi l’atto di revoca come annullamento d’ufficio, le relative competenze spettano quindi all’organo che ha assunto il provvedimento di assegnazione, ovvero il Sindaco dell’Aquila, come da opcm ed articolo riportati.
Importanti precisazioni del Tar anche relativamente ai concetti di residenza e domicilio.
L’opcm n. 3806 fissa quale requisito di assegnazione la “residenza o stabile domicilio in abitazioni classificate E o F o situate nella ‘zona rossa’ nel comune di L’Aquila” alla data del 6 aprile 2009. A tal proposito “la residenza di una persona e’ determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, ossia dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, la cui prova può essere fornita con ogni mezzo (Consiglio Stato, sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7730), mentre d’altra parte il domicilio deve essere inteso come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e dei suoi interessi, che va individuato non solo con riferimento ai rapporti economici e patrimoniali, ma anche ai suoi interessi morali, sociali e familiari, che confluiscono normalmente nel luogo ove la stessa vive con la propria famiglia (Cassazione civile, sez. II, 14 novembre 2006, n. 24284). Tali condizioni non possono essere meccanicamente dedotte dallo svolgimento di attivita’ lavorativa in altra citta’, e nel caso della ricorrente, la “stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attivita’ fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali”.
Una sentenza, sulla quale e’ difficile pensare sia dovuto, da parte della SGE, un appello al consiglio di stato.
Patrizio Trapasso