Articolo da ilCorriere.it
All’Aquila può accadere anche questo. Che una ditta privata, incaricata di mettere in sicurezza uno dei più antichi e prestigiosi palazzi privati del centro storico, danneggi irreparabilmente — sfondandoli — affreschi del 1705, collocati sopra le porte dell’edificio. Ora tutto e’ sul tavolo della Procura della Repubblica, seguiranno un processo e una probabile condanna al ripristino. Ma intanto il disastro e’ compiuto: ciò che non fece il terremoto, fecero i tiranti di acciaio. Ecco la vicenda. Palazzo Carli Benedetti (rinascimentale, probabile opera di Silvestro dell’Aquila, lo stesso autore della cupola di San Bernardino) durante il terremoto viene seriamente danneggiato. I proprietari, l’architetto Carla Bartolomucci e il signor Giancarlo Pallotta, lo segnalano al Comune e al commissariato (retto fino a gennaio da Guido Bertolaso e ora dal governatore Gianni Chiodi) in particolare al vicecommissario per i Beni culturali, ingegner Luciano Marchetti. Che indica una ditta (l’impresa «Ennio Soccodato»).
Il Comune, trattandosi di un palazzo privato, approva il progetto presentato dal vice commissariato che affida l’appalto e concede il via libera ai lavori che partono a maggio. Ma nessuno controlla i lavori e la ditta non trova di meglio che piazzare i tiranti nel bel mezzo degli affreschi dipinti sopra i vani, probabilmente del 1705, voluti dall’abate Ludovico Quatrari durante il ripristino del palazzo dopo il terremoto del 1703.
I proprietari scoprono il disastro e corrono in soprintendenza. Qui la soprintendente per i Beni storicoartistici dell’Abruzzo, Lucia Arbace, invia un ispettore. Che scrive una relazione inorridita: danni assurdi, un intervento privo di qualsiasi consapevolezza del bene in questione. La soprintendente avvisa la Direzione generale dei Beni culturali, affidata ad Anna Maria Reggiani, che denuncia tutto alla Procura. Anche Marchetti ha segnalato il danno al Comune e alla stessa Procura. Ma perché nessuno ha controllato? Dice Marchetti: «L’ente attuatore e’ il Comune ed evidentemente non ha potuto controllare. Qui si sta mettendo in sicurezza un’intera citta’, la situazione e’ molto complessa. Ma con tutta evidenza la ditta non ha rispettato il protocollo del progetto. E il danno e’ stato da noi regolarmente denunciato». Spiega la Arbace:
«La soprintendenza e’ chiamata di volta in volta a svolgere le sue funzioni. In questo caso, fino alla segnalazione del danno eravamo all’oscuro di tutto: anche dell’intervento nel palazzo. I problemi sono tanti. Carenza di mezzi e di personale ma anche sovrapposizioni di ruoli tra le soprintendenze e l’ufficio del vicecommissario». Protesta infatti Gianfranco Cerasoli, segretario della Uil Beni culturali, che ha deciso di rendere pubblico l’episodio: «Basta con la struttura vicecommissariale. Il ministro Sandro Bondi segua le indicazioni del Consiglio superiore dei Beni culturali che a dicembre aveva raccomandato l’uso, dopo il terremoto, esclusivamente di ditte scientificamente competenti. E’ ora di restituire le competenze alle soprintendenze regolari, che hanno le vere capacita’ e soprattutto seguono le adeguate procedure. La struttura viceommissariale costa risorse, rappresenta un momento di conflitto e di duplicazione di competenze. L’incredibile episodio di palazzo Carli Benedetti non sarebbe mai accaduto se i lavori fossero stati approvati, affidati e seguiti dalle soprintendenze». Il clima all’Aquila, sui Beni culturali, non e’ tra i più sereni.
Un recente documento firmato dalla direttrice regionale Reggiani, dai tre soprintendenti dell’Abruzzo e dal direttore dell’Archivio di Stato, inviato a Bondi e allo stesso Chiodi, ricorda che la struttura di Marchetti ha competenza solo nel campo della messa in sicurezza. Ma poiché «c’e’ percezione confusa e fuorviante» delle attribuzioni, i soprintendenti ricordano che al vicecommissario «resta preclusa ogni altra potesta’ operativa, quale quella attinente le attivita’ di progettazione e/o coordinamento di interventi di restauro, consolidamento e simili». Tanto per essere chiari e netti.