Il giorno dell’Epifania saranno trascorsi 9 mesi dalla terribile scossa. E a tutt’oggi sono ancora 17mila le persone assistite, senza dimora. Di queste, circa 13mila vive ancora sulla costa.
Nove mesi e’ un tempo troppo lungo da dover sopportare. Cominciano a vacillare le speranze di chi credeva che nel giro di poco si sarebbe risolto tutto. Il rientro diventa quasi una meta irraggiungibile.
Se e’ indiscutibile lo sforzo unanime per avviare la ricostruzione, se sono sotto gli occhi di tutti la grande prova di solidarieta’ e l’enorme spirito di accoglienza della popolazione abruzzese, che ci ha ospitato con generosita’ e senza remore, tuttavia credo che il vero obiettivo adesso sia quello di far tornare tutti nelle proprie abitazioni, quelle vere. Ogni singolo abitante del capoluogo, ogni singolo cittadino dei comuni del cratere ancora fuori dovra’ rientrare. Questa sara’ la nostra nuova missione.
È quello che ci chiede, talvolta anche sommessamente, quasi con pudore, la nostra gente. Lo leggo negli occhi di tutti, ogni volta che vado sulla costa.
Lì ho ancora la maggior parte della mia famiglia e molti dei miei amici. Durante questi 9 mesi ho avuto modo di incontrare spesso gli aquilani “della costa”. Ho trascorso lì il giorno del Natale e il primo dell’anno. Mentre il 29 dicembre sono stata invitata a partecipare, insieme al capo della Protezione Civile Bertolaso, a Tortoreto, ad una assemblea, affollatissima (ahime!), di aquilani che vivono ancora negli alberghi o in autonoma sistemazione. La nostalgia di casa e’ forte.
Serve un nuovo slancio per affrontare quella che anche il nuovo vescovo ausiliare, Mons D’Ercole, ha definito una “missione umanitaria”. Trovare ogni possibile soluzione per favorire il rientro.
Vanno adottate scelte forti, decisive, condivise. Alcuni passaggi sono improrogabili: accelerare la ricostruzione leggera delle abitazioni “B” e “C”. La maggior parte della gente ancora nel limbo dell’incertezza ha case con pochi danni, ma paradossalmente ancora non può rientrare, per le solite lentezze burocratiche di Cineas e Reluiss, che dovrebbero snellire e semplificare le procedure.
Se le case “B” e “C” potessero riaprire subito i battenti si libererebbero altri posti nelle caserme e negli alberghi dell’aquilano, per consentire di tornare a chi e’ ancora fuori.
Basterebbero poche, ragionevoli misure e lo sforzo di tutti. Senza gli aquilani, L’Aquila non torna a vivere.