(da Abruzzo24ore.tv) A Montereale il commissario straodinario del Comune aveva disposto alcuni giorni fa la chiusura delle chiese del paese. Poi a seguito della vibrante protesta del parroco e di non pochi paesani, l’ordinanza e’ stata limitata solo alle chiese e luoghi pubblici gia’ inagibili.
C’e’ chi però a seguito delle scosse più udibili a Montereale e frazioni, dorme in macchina, in particolare coloro che vivono in una delle tante vecchie case in pietra non a norma anti-sismica del paese, e forse indebolite dalle tante scosse.
C’e’ poi chi incrocia le dita e si fa forza con un incrollabile ottimismo. In particolare i commercianti che vivono di turismo preferirebbero che i giornali e le televisoni non parlassero dello sciame sismico in alta stagione. Per non far crollare l’immagine e l’indice di gradimento di Montereale…
Spostiamoci ad Aringo, bella ed ospitale frazione immersa in una natura rigogliosa ed incontaminata.
Non corrono pericolo senz’altro una coppia di emigrati che risiedono a Roma, e che avendo la loro seconda casa distrutta dal terremoto del 6 aprile, dormono in tenda, pur di poter tornare in estate nel loro amato paese.
Non e’ il caso però del signor Mauro, che vive nella sua casa ufficialmente dichiarata agibile, ma i cui muri sono attraversati da poco rassicuranti crepe. Lui continua a dormirci, perché, spiega, nessuno gli ha detto che non può farlo.
Non e’ un caso isolato. Scopriamo infatti che ad un anno e mezzo dal sisma ad Aringo non sono stati nemmeno completati gli esiti di agibilita’.
Cioe’ molti residenti non sanno ancora se la loro casa e’ agibile oppure no. E questo ritardo di fatto porta non poche persone a dormire in case di cui non sono stati valutati i danni e il grado sicurezza.
E qui ad Aringo, come nelle altre frazioni di Montereale, non e’ stato messo concretamente in atto un piano di emergenza sismica. E la Protezione civile non si vede da mesi.
Eppure in uno studio di Abruzzo Engineering del 2008 Montereale e le sue 36 frazioni sono state classificate”categoria 1”, cioe’ ”a massimo rischio sismico’‘. Uno studio che evidentemente e’ riposto nel cassetto di qualche pigro e sonnolento burocrate.
Ed esiste, ricorda il quotidiano il Centro, in un articolo a firma di Enrico Nardecchia, anche un Piano di emergenza, costato parecchi soldi e che consiste nell’individuazione ” di nuove funzioni per i dipendenti dell’ente che, in caso di necessita’, dovrebbero essere in grado di fornire assistenza alla popolazione, censire i danni, organizzare azioni di volontariato e interventi sanitari. Il piano, inoltre, avrebbe ”localizzato gli spazi più idonei alla realizzazione di tendopoli, alla raccolta della popolazione e dei soccorritori.”
Peccato che quasi tutti i cittadini, cioe’ i diretti interessati, non sanno assolutamente nulla di questo piano di emergenza.
Gli unici esperti a cui poter chiedere consigli e pareri sul grado di sicurezza delle abitazione sono ingegneri privati come Maria Venditto che lavorano in paese. Pur non essendo loro compito e competenza sopperiscono alla latitanza dei ”Chi di dovere”, consigliando alle persone che vivono in case insicure di adottare almeno qualche precauzione, come ad esempio quella di spostare il letto lontano da mobili e pareti a maggior rischio di crollo, di predisporre vie di fuga, di non chiudere a chiave le porte, di rimuovere oggetti pesanti sopra i davanzali e i mobili.
Nessuno, in particolare le persone anziane, saprebbe però davvero come comportarsi in caso di evento sismico distruttivo, perché ad esempio non conoscono (chiedere per credere) quale percorso di fuga imboccare nel reticolo di vicoli del paese, dove sono molti gli edifici ancora da puntellare e da mettere in sicurezza.
Il ritardo del completamento degli esiti di agibilita’ oltre a compromettere la sicurezza degli abitanti, determina un ritardo nel processo di ricostruzione.
E’ il caso di una signora che non può riparare la sua abitazione classificata E, perché gli appartamenti adiacenti che fanno parte del suo aggregato, non hanno ancora un esito di agibilita’ ufficiale. E dunque non si può fare il progetto, né il consorzio.
Ciò che fa rabbia e’ che per Aringo non e’ previsto un Piano di ricostruzione del centro storico, che necessita’ di un iter di approvazione lungo e complesso, prima del quale non e’ possibile muovere nemmeno una pietra. Qui i cantieri potevano gia’ camminare a pieno regime.
Ci sono poi case che di esiti di inagibilita’ ne hanno avuti ben due, però contrastanti. E il risultato non cambia: ricostruzione ferma e un gran mal di testa.
A tenere in vita il paese sono coloro, come il signor Giovacchino che da anni risiede a Roma torna ad Aringo appena può. Ora però anche la sua seconda casa e’ distrutta. Lui continua a tornare ospite da parenti. Ma non sapra’ fino a quando potra’ farlo.
Prima del terremoto Aringo era abitata in estate e festivita’ da circa 3.000 persone. Da poche decine di residenti in gran parte anziani nel periodo invernale.
Se la ricostruzione anche delle seconde case dei non residenti non parte velocemente, per Aringo potrebbe essere la fine.
Basta andare dal macellaio del paese per rendersene conto. Questa estate le vendite sono crollate, e sara’ dura tenere aperta l’attivita’ nel periodo invernale quando il paese e’ semi-deserto.
Ci si chiede a conclusione di questa breve ma intensa visita ad Aringo, che fine abbiano fatto le istituzioni. Chi si stia facendo carico dei tanti problemi di queste persone. Chi si stia occupando della loro sicurezza, visto che molti dormono in case non sicure mentre la terra continua a tremare.
Andiamo via da Aringo con cupi pensieri e con una semprie più solida convinzione: L’Italia e’ un paese dalla memoria a brevissimo termine, dove l’emergenza scatta solo a sangue versato. E dove la tragedia dell’Aquila ha insegnato poco, anche a chi l’ha vissuta in prima persona.
Filippo Tronca, da Abruzzo24ore.tv