Una sequenza sismica ha interessato nei giorni scorsi l’area di Castelvetrano, in provincia di Trapani, e più precisamente dal 27 settembre scorso, quando un evento di magnitudo 2.6 si è verificato nei pressi del lago artificiale della Trinità, formato per lo sbarramento del fiume Delia.
Da allora gli eventi di magnitudo superiore a 2 sono stati 5 in tutto, anche se moltissimi altri di magnitudo più piccola si sono succeduti e, a causa della loro modesta profondità ipocentrale (tra 2 e 8 km), sono stati a volte avvertiti dalla popolazione.
L’area di Castelvetrano è stata tra quelle colpite dalla disastrosa sequenza sismica iniziata il 14 gennaio 1968, che provocò danni ingenti e vittime in molti paesi della Valle del Belice.
I modelli sismotettonici di questa regione sono stati inizialmente condizionati dall’ipotesi di faglie trascorrenti attive orientate N-S presenti nell’avampaese siciliano. Secondo questa ipotesi, tali faglie sono state considerate responsabili dei maggiori terremoti della Sicilia occidentale (es. l’evento del Belice nel 1968, Gasparini et al., 1985; Meletti et al., 2008). L’ultima zonazione del territorio nazionale (ZS9) segue questo schema sismotettonico. In essa la Sicilia appare nella parte centro-occidentale come un grande dominio asismico, con la sola esclusione di una fascia N-S comprendente l’area del Belice (Zona 934 della ZS9, Meletti et al., 2008).
In maniera alternativa, altri ricercatori (Lavecchia et al., 2007) hanno proposto come sorgente principale dei maggiori eventi sismici che hanno colpito la Sicilia centro-meridionale il sovrascorrimento alla base della catena orogenica (Sicilian Basal Thrust, si veda figura sotto).
In questo studio hanno diviso la provincia sismogenetica compressiva in due sotto province, una superficiale e una profonda, sulla base dell’analisi dei terremoti storici e strumentali (di magnitudo M>4) con ipocentro compreso tra 0 e 30 km di profondità, e la realizzazione di sezioni geologiche e geofisiche regionali. La parte più superficiale, fino a 10 km di profondità, sarebbe strutturalmente caratterizzata dalla presenza di pieghe, faglie inverse (thrust) e faglie trascorrenti (strike-slip) originatesi a partire dal Pliocene superiore. La porzione profonda, tra 10 e 25 km di profondità, è caratterizzata da terremoti con meccanismi focali compressivi da thrust e trascorrenti con assi P orientati circa N-S (Anderson e Jackson, 1987; Frepoli e Amato, 2000; Neri et al., 2005; Pondrelli et al., 2006; Montone et al., 2012). A tale sub-provincia questi ricercatori attribuiscono l’origine di 11 terremoti con magnitudo compresa tra 4.5 e 5.5 avvenuti in Sicilia occidentale, fra cui quello dell’area del Belice del 1968.
Attraverso l’integrazione di dati SAR, GPS, morfotettonici, archeosismologici e di geofisica marina, lo studio multidisciplinare di Barreca et al. (2014) ha evidenziato l’attività di una faglia orientata NE-SO tra Castelvetrano e Campobello di Mazara come rampa di thrust obliqua (si intende un sovrascorrimento la cui direzione forma un angolo acuto rispetto alla direzione di trasporto tettonico; al contrario, in una rampa frontale le due direzioni sono ortogonali) immergente a NO, che potrebbe essere responsabile della sismicità storica dell’area. Tale attività coinvolge anche un insediamento archeologico di età greco-romana e potrebbe avere avuto un ruolo sia nei terremoti connessi alla distruzione della città greca di Selinunte, che nella sequenza simica del 1968 (figura sotto).
Quello che si evince da queste analisi è che stiamo parlando di un’area caratterizzata da una geodinamica particolarmente importante e che è dunque soggetta a crisi sismiche di varia entità. Nelle figure che seguono vengono rappresentate le distribuzioni, nel tempo e nello spazio, degli eventi che hanno interessato l’area della Sicilia sudoccidentale negli ultimi 30 anni. Sono chiaramente visibili quattro raggruppamenti temporali negli anni 1998, 2005-2006, 2010-2012, 2014-2015.
L’attuale sequenza sembrerebbe aver avuto inizio alla fine del 2016, con alcuni eventi localizzati intorno alla città di Calatafimi, seguiti a maggio di quest’anno da un altra serie di terremoti con epicentro intorno a Menfi. La generale variabilità della distribuzione degli epicentri è da ricollegare a diversi fattori (non ultimi la disponibilità di dati e la qualità della rete sismica), ma certamente sono stati attivati vari sistemi faglie che hanno in comune un prevalente rilascio energetico a livello superficiale, tra i 5 e i 15 km di profondità.
Anche la sequenza che si sta verificando in questi giorni presenta questa caratteristica e ciò spiegherebbe anche la marcata percettibilità dei terremoti nell’area più prossima alle localizzazioni epicentrali. In estrema sintesi, dunque, tale sismicità sarebbe da associare alle strutture di “accomodamento” (splays frontali rappresentate nella terza figura) delle pieghe profonde, che si manifestano in superficie anche con fessurazioni sul terreno e fenomeni di creeping (movimenti della superficie lenti e asismici) rilevabili con reti geodetiche o telerilevamento SAR.
a cura di Mario Mattia (INGV, Sezione di Catania) e Paolo Madonia (INGV, Sezione di Palermo).
Fonte: ingvterremoti.wordpress.com