Quando un fascio di luce si accende dentro a una montagna, può accadere che Einstein incontri la scienza dei terremoti. Questo gioco delle (strane) coppie ha luogo nei Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).
È un esperimento dal nome piccante: Gingerino (Gyroscopes in General Relativity). È nato per misurare una delle implicazioni della teoria della Relatività non ancora del tutto comprovata, ma ha scoperto di essere utile anche a chi studia la rotazione e le deformazioni della Terra.
Gingerino è uno strumento montato a 1.400 metri di profondità per misurare gli effetti della rotazione terrestre.
Quelli fisici hanno a che vedere con la Relatività, perché un corpo che ruota deforma la trama dello spazio-tempo torcendola nella direzione del suo movimento (così suggeriscono le teorie di Einstein).
Ma si tratta di influenze minime, che alterano la velocità di rotazione (il cui valore all’equatore raggiunge i 1.600 chilometri all’ora) per meno di un miliardesimo di grado ogni secondo.
“È entusiasmante studiare questo usando fotoni” spiega la responsabile dell’esperimento, Angela Di Virgilio dell’Infn di Pisa. Gli ultimi dati raccolti dallo strumento sono pubblicati su Review of Scientific Instruments.
Poi ci sono gli effetti geologici, che riguardano un aspetto poco studiato dei terremoti: la rotazione che imprimono al suolo. “Le onde sismiche fanno muovere il suolo principalmente lungo traiettorie lineari. Ma provocano anche rotazioni” spiega Gilberto Saccorotti, direttore della sezione di Pisa dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
“Questo fenomeno era impossibile da misurare prima di strumenti come Gingerino, che ha acquisito dati anche durante la sequenza sismica dell’Italia centrale. Ora potremo calcolare meglio le caratteristiche che gli edifici devono avere per resistere alle scosse e misurare le piccolissime deformazioni lente del suolo: possibili precursori di un terremoto”.
Per studiare Einstein e la tettonica, Gingerino usa due fasci laser che corrono lungo i lati di un quadrato di 3,6 metri, guidati da un gruppo di specchi perfettamente levigati. L’apparecchio è fissato alla roccia della montagna, al riparo da qualunque forza esterna.
Perfino pioggia, vento o rumore – ha dimostrato uno strumento “fratello” montato a Wettzell in Baviera – possono infatti infrangerne la precisione assoluta.
“Lo strumento tedesco è stato costruito con dovizia di fondi” spiega Di Virgilio. “Noi invece teniamo l’anima coi denti. Io stessa sono andata sottoterra a montare Gingerino con cazzuola e cemento”. Anche se sotto al Gran Sasso Gingerino è al riparo dai capricci del meteo, soffre l’umidità, che fra le rocce è vicina al punto di rugiada.
“Con questi valori l’elettronica non può funzionare” spiega Jacopo Belfi, il ricercatore dell’Infn che ha curato Gingerino fin dalla nascita. “Abbiamo chiuso lo strumento in una camera isolata, riscaldandola con lampade a infrarosso”.
La distorsione dello spazio-tempo fa sì che il fascio laser che corre in senso antiorario (quindi nella direzione della rotazione terrestre) debba percorrere una distanza leggermente superiore rispetto all’altro.
Questione di miliardesimi di metro, ma quanto basta per modificare la frequenza dei fotoni, rendendo l’effetto misurabile dai ricercatori. “Non abbiamo ancora raggiunto la precisione necessaria per confermare questa implicazione della teoria di Einstein” spiega Di Virgilio.
“Gingerino è un modello, l’esperimento più grande si chiamerà Ginger e verrà installato sempre al Gran Sasso. Non un solo giroscopio ma almeno due: così saremo in grado di provare la distorsione dello spazio-tempo provocata dalla rotazione terrestre o le maree solide causate dall’attrazione gravitazionale della Luna“.
Articolo da Repubblica.it