Questa è una sequenza che continua ed è presto per rilassarsi”. Parole di Sergio Bertolucci, presidente della Commissione Grandi Rischi, intervistato dall’Ansa sulla sequenza sismica iniziata col terremoto del 24 agosto scorso.
“Ci preoccupa ci siano ancora faglie silenziose da molto tempo, alcune da secoli, e che abbiano subito un aumento di stress”, ha aggiunto. Per il presidente della Commissione Grandi Rischi è necessario, dunque, “mantenere alta l’attenzione e, di qui al prossimo terremoto, lavorare per limitare la vulnerabilità delle strutture e per salvare vite umane”
Sul rischio di nuovi sismi è intervenuto anche l’Ingv: “Non sappiamo quanta possa essere l’energia ancora da liberare, ma è più che legittimo dire che non è da escludere un evento più importante, ma non è possibile dire quando”, ha detto il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Carlo Doglioni.
Come i sismologi sanno bene, la struttura delle faglie dell’Appennino è davvero molto complessa e richiede un’attenzione costante. Per questo ai circa 300 sismografi della rete sismica nazionale che fa capo all’Ingv si aggiungono quelli delle stazioni mobili, le ricerche sul campo e l’analisi delle immagini rilevate dai satelliti”.
Sono conoscenze indispensabili per riuscire a conoscere a fondo il comportamento del suolo in un Paese sismico come l’Italia e, forse, per arrivare un giorno a conquistare quella sorta di Sacro Graal della sismologia che è la possibilità di prevedere un terremoto, ossia poter dire esattamente quando e dove la terra tremerà: cosa oggi assolutamente impossibile.
Ma la ricerca ha dei costi e “purtroppo i finanziamenti assegnati all’Ingv sono insufficienti per farlo vivere, siamo in bolletta”, è stato l’appello lanciato da Doglioni in pena emergenza terremoto. Tra le difficoltà economiche, il lavoro dei sismologi è incessante. In questi giorni si continuano a raccogliere dati sulla zona colpita dai terremoti del 18 gennaio. I ricercatori sanno che “è potenzialmente instabile perché gli elementi adiacenti si sono mossi di recente”, ha aggiunto Doglioni riferendosi al terremoto del 2009: “sulla scala dei tempi geologica – ha rilevato- sette anni sono un istante”.
Anche per il sismologo Alessandro Amato, dell’Ingv, alla luce alla storia sismica di quell’area, “non sorprenderebbe se si verificasse una scossa di intensità pari o superiore a quelle avvenute”.
È importante osservare anche quanto accade nella zona a Sud-Est della faglia, silenziosa da tempo. Alcuni modelli propongono il concetto del ‘gap sismico’, secondo il quale faglie che hanno accumulato energia nel tempo e che non hanno avuto terremoti importanti potrebbero essere pronte a rompersi.
“È una possibilità che deriva da questo modello, ma la natura è più complicata”, ha osservato Amato. Il terremoto del 30 ottobre 2016 ha infatti contraddetto il modello: dopo il terremoto di magnitudo 6 del 24 agosto, avvenuto a Sud, fra Amatrice e Norcia, e quello di magnitudo 5,9 del 26 ottobre, fra Macerata e Perugia, ci si aspettava che la sismicità potesse migrare a Nord o a Sud. “Invece – ha rilevato Amato – il sisma di magnitudo 6,5 del 30 ottobre ha interessato faglie già mosse”.
Questo potrebbe essere accaduto, ha aggiunto, perché “le faglie non si erano mosse in modo completo in tutta la loro estensione, rimanendo bloccate in alcuni punti”.