16 novembre – Memoria storica, memoria condivisa, tradizioni popolari, riti e commemorazioni contribuiscono alla riduzione del rischio sismico.
Un esempio: il terremoto del 16 novembre 1894 nella Calabria meridionale si ricorda ogni anno grazie alla processione della Madonna del Carmine a Palmi (RC).
Un post pubblicato sul blog INGV, circa un anno fa, relativo alla percezione del rischio in Italia sosteneva che nove cittadini su dieci residenti in Zona 1 (la più pericolosa) sottovalutano il pericolo che potrebbe derivare da un terremoto.
È risaputo che uno dei motivi principali di questa mancanza di consapevolezza è la perdita della memoria storica delle persone in materia di catastrofi naturali, memoria che, con il passar del tempo, diventa sempre più labile, fino a perdersi del tutto.
I sismologi riescono a valutare la pericolosità sismica di un’area anche grazie alla sismologia storica, disciplina che si pone l’obiettivo di ricostruire gli effetti sul territorio degli eventi sismici accaduti nel passato, attingendo direttamente dalle fonti storiche, cioè da qualunque documento scritto che ne dia conto, come i documenti d’archivio, le cronache di giornali, i diari, le perizie tecniche, gli studi storiografici e sismologici, ma anche le epigrafi e le lapidi. La sismicità storica è oggetto di indagine in molti paesi del mondo, ma sono assai rari i casi in cui gli studiosi possono ricostruire scenari macrosismici ricavando dati da un patrimonio documentario così cospicuo, vario e cronologicamente esteso come quello italiano (si veda il Database Macrosismico Italiano).
Pertanto ad oggi è possibile ricostruire le singole storie sismiche delle principali località italiane per avere un’idea indicativa della loro pericolosità sismica. Nonostante l’Italia sia così ricca di testimonianze documentarie dei suoi innumerevoli terremoti storici, come dicevamo, la maggior parte degli italiani non ha, per mancanza di memoria storica sull’argomento, la consapevolezza di vivere in un paese sismico.
Talvolta, in alcune località, l’oblio è evitato grazie alla memoria condivisa di una comunità o di un paese (presenza di iscrizioni e immagini, celebrazione di anniversari, riti e usanze) che può sopravvivere a lungo, favorendo la crescita di comportamenti positivi (tecniche costruttive antisismiche, regole comportamentali atte a favorire la sopravvivenza) o addirittura conservando la memoria di terremoti altrimenti ignorati dalla sismologia ufficiale. Uno di questi terremoti (avvenuto nel 1731) è stato riscoperto proprio grazie alla memoria tenace della comunità di Pieve Santo Stefano in Toscana, che continua ancora oggi a ricordare lo scampato pericolo con una processione votiva annuale.
Un altro esempio di memoria condivisa attraverso una commemorazione religiosa è la processione della Madonna del Carmine che si tiene ogni anno in Calabria a Palmi (RC) in ricordo del terremoto del 16 novembre 1894.
Anche Giuseppe Mercalli (sismologo e vulcanologo celebre per l’omonima scala macrosismica, che misura l’intensità delle scosse sismiche sulla base degli effetti causati) descrive questo episodio nel suo saggio sui terremoti della Calabria meridionale e del Messinese (Mercalli, 1897): al momento della scossa principale le
“… persone che sostenevano il simulacro della Madonna, portandolo in processione, sentirono le sbarre di legno che avevano tra le mani alzate da una forza invisibile per ½ palmo circa; in seguito le loro gambe dondolarono in modo da stentare a reggersi in piedi.”
A quel punto i portatori della statua si misero a correre con la statua sulle spalle e la trasportarono di corsa per un centinaio di metri.
Ma come erano andati esattamente i fatti? Il terremoto era stato preceduto, nella stessa giornata del 16 novembre, da tre scosse minori. Subito dopo la terza scossa, avvenuta verso le 18 locali, la popolazione era uscita dalle case e aveva deciso di portare in processione la statua della Madonna del Carmine. Quando avvenne il terremoto più forte, verso le 18:50, la maggior parte degli abitanti di Palmi stava partecipando proprio alla processione improvvisata.
Questo fatto è ancora oggi conosciuto come “Miracolo della Madonna del Carmine di Palmi”. Il fatto che al momento del terremoto quasi tutti gli abitanti fossero in strada a seguito della processione, infatti, lasciò la popolazione di Palmi praticamente illesa. Persero la vita solo 8 o 9 persone e altre 300 rimasero ferite (su circa 11.000 abitanti), per lo più a seguito dei crolli di cornicioni, comignoli e parti di edifici sulle strade affollate per la processione.
Fin dall’anno successivo al terremoto – il 1895 – l’episodio è entrato a far parte della tradizione locale sotto forma di culto commemorativo che viene celebrato ancora oggi: ogni anno, il 16 novembre, a Palmi la statua della Madonna del Carmine viene portata in processione e quando il corteo giunge nel punto esatto in cui si trovava al momento del terremoto in quel lontano novembre di 120 anni fa, i portatori della statua della Vergine cominciano a correre lungo quello stesso tratto di strada di circa 100 metri che fu percorso di corsa mentre la terra tremava e intorno le case crollavano.
La ricostruzione storica di quel terremoto
Nel pomeriggio del 16 novembre 1894, alle ore 18:52 locali (le 17:52 GMT), un forte terremoto colpì tutto il settore meridionale della Calabria e la parte nord-orientale della Sicilia. I maggiori effetti si ebbero in un’area di circa 80 kmq compresa tra le pendici settentrionali dell’Aspromonte (i cosiddetti “piani d’Aspromonte”) e la costa tirrenica. Qui ci furono distruzioni e crolli diffusi in una ventina di centri in provincia di Reggio Calabria, tra cui Palmi, Bagnara Calabra e Rosarno, dove gli effetti sono stati valutati uguali o superiori al grado 8 della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). I paesi più colpiti però furono San Procopio e Sant’Eufemia d’Aspromonte, dove molti edifici crollarono completamente e l’intensità della scossa raggiunse il grado 9 MCS (Guidoboni et al. 2007).
A San Procopio la gran parte degli edifici subì crolli totali o parziali, fra cui il Municipio, di cui rimase in piedi soltanto la facciata. La parte all’estremo sud del paese fu quella meno danneggiata. Nella chiesa di Maria SS. Addolorata (più comunemente conosciuta come Chiesa della Madonna degli Afflitti), al momento del terremoto gremita di fedeli, crollarono la parte superiore della facciata, parte del tetto e il campanile, uccidendo 35 persone.
A Sant’Eufemia d’Aspromonte, paese già completamente distrutto dai devastanti terremoti del febbraio 1783 e successivamente riedificato, crollarono anche alcune delle case meglio costruite. Secondo il genio militare oltre 530 abitazioni subirono crolli totali o parziali, su un totale di circa 1150 edifici che all’epoca costituivano l’abitato; altre 620 rimasero danneggiate.
Danni diffusi ma meno gravi interessarono molti altri paesi in un’area estesa fino al Vibonese, verso nord, alla costa ionica verso sud e est, e al messinese, verso ovest.
A Reggio Calabria e a Messina la scossa lesionò molti edifici, alcuni dei quali anche in maniera grave. A Reggio, in particolare, circa due terzi delle case riportarono lesioni. Le parti della città che subirono i danni maggiori furono quella bassa e quella centrale, mentre i quartieri settentrionali e occidentali circostanti il Castello Aragonese ebbero danni minori.
In totale, i comuni interessati da effetti di danno furono oltre 120 in Calabria e una quindicina in provincia di Messina. Danni per lo più lievi furono riscontrati anche in alcune delle Isole Eolie, delle quali la più colpita fu Stromboli, dove molti edifici rimasero lesionati.
Il terremoto verso nord fu avvertito fortemente, ma senza danni, a Catanzaro e in modo più leggero a Cosenza e fino alla provincia di Potenza. In Sicilia fu forte in tutta la provincia di Catania e più leggero nel siracusano. Fu avvertito molto debolmente anche a Palermo.
La scossa principale fu preceduta da varie scosse avvenute nei giorni precedenti e da tre scosse avvertite nella stessa giornata del 16 novembre (di cui la più forte fu la prima, registrata alle 06:15 locali). Seguì poi una sequenza di aftershocks, il più forte dei quali avvenne nella notte dello stesso 16 novembre, alle ore 23:34 locali. Le repliche furono particolarmente frequenti nei mesi di novembre e dicembre 1894, ma con frequenza decrescente proseguirono per tutto il 1895.
La violenza della scossa produsse effetti anche sull’ambiente naturale: fenditure nei terreni e frane furono segnalate in diverse località della Calabria (sia nell’Aspromonte, che sulla costa tirrenica) e del messinese; nei pressi del Lago di Ganzirri (il “Pantano Grande”), nell’estrema punta nord-orientale della Sicilia, si aprirono alcune spaccature nel suolo da cui fuoriuscirono vapori e fanghi maleodoranti. In diverse zone furono osservate anche variazioni nella portata d’acqua di sorgenti e fontane e nel livello dei pozzi. Infine fu osservato un fenomeno di agitazione del mare sia a Reggio di Calabria che a Palmi (Guidoboni et al., 2007).
Il terremoto causò complessivamente un centinaio di vittime (di cui 48 solo a San Procopio, in buona parte per il crollo della chiesa dell’Addolorata), mentre i feriti furono 800-1000.
L’elevata pericolosità sismica della Calabria meridionale emerge chiaramente anche guardando la storia sismica di Sant’Eufemia d’Aspromonte che si ricava dal catalogo CPTI11, e che tra tutte le storie sismiche dei comuni italiani risulta una delle più significative, almeno per quanto riguarda la frequenza di terremoti distruttivi.
Negli ultimi 1000 anni coperti dal catalogo la storia sismica di questo comune è nota solo dalla fine del XVIII secolo, cioè dalla devastante sequenza di terremoti del 1783. Ma a partire da quel momento la storia si fa impressionante: dal 1783 al 1908, in un arco temporale di soli 125 anni, Sant’Eufemia d’Aspromonte è stata distrutta a seguito di forti terremoti (con effetti uguali o superiori al grado 9 MCS) per ben tre volte – nel 1783, 1894 e 1908 – e ha subito danni diffusi (Intensità ≥ 7 MCS) in altre due occasioni (1905 e 1907).
Dopo le distruzioni del 1908 e la ricostruzione successiva, la cittadina ha vissuto un lungo periodo di relativa calma sismica, senza danni rilevanti, che dura tuttora. L’unico evento degno di nota, che ha prodotto un danneggiamento diffuso ma leggero, è quello del 16 gennaio 1975 con epicentro nella zona dello Stretto di Messina, che fu per altro un terremoto di media magnitudo (Mw 5.2, CPTI11), non paragonabile ai grandi eventi del 1783, 1894 e 1908.
La Calabria è stata la prima regione d’Italia ad essere classificata sismica; il disastroso terremoto di Reggio Calabria e Messina nel 1908 segna l’inizio della normativa sismica dell’Italia e a seguito dei circa 80.000 morti causati da quell’evento, tutti i Comuni della Calabria sono stati classificati sismici nel 1909. Oggi tutti i Comuni nelle province di Reggio Calabria e Vibo Valentia e una buona parte di quelli di Catanzaro e Cosenza sono classificati in zona 1 (pericolosità molto alta); i rimanenti Comuni in zona 2 (pericolosità alta).
La mappa di pericolosità sismica, che individua le aree dove ci si possono attendere scuotimenti sismici di diversa forza, in qualsiasi momento e quindi anche in assenza di sequenze sismiche, è tuttora lo strumento più efficace che la comunità scientifica mette a disposizione per le politiche di prevenzione. La prevenzione, che si realizza principalmente attraverso la riduzione della vulnerabilità sismica delle costruzioni, ovvero il rafforzamento delle costruzioni meno resistenti al sisma, resta la migliore difesa dai terremoti e l’unico modo per ridurne le conseguenze immediate.
Fonte: /ingvterremoti.wordpress.com, a cura di Filippo Bernardini (INGV-Bo) e Concetta Nostro (INGV-CNT).