AMATRICE, LA RICOSTRUZIONE SULLA VIA DELLO SPRECO

terremoto2016Primo bilancio a un mese dal sisma: le case provvisorie costano più di tutti gli edifici nuovi della zona. Perché la Protezione civile ha un modello che favorisce lo sperpero. Senza benefici per la popolazione.

di Fabrizio Gatti, L’Espresso – C’è una domanda che Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, dovrebbe fare a Fabrizio Curcio, capo nazionale della Protezione civile: «Perché nel 1997 bastarono quarantacinque giorni per dare un tetto provvisorio a oltre tremilaquattrocento persone, dopo il terremoto di Marche e Umbria e oggi servono sette mesi per 2.304 sfollati?». La stessa questione riguarda perfino noi contribuenti, se teniamo davvero ai principi dell’articolo 97 della Costituzione sul buon andamento della pubblica amministrazione. Ma non solo i tempi di intervento si sono paurosamente dilatati da allora, con un salto del 366 per cento. Anche i costi sono letteralmente esplosi.

Il dopo-terremoto 2016 ha già imboccato la strada lastricata d’oro (per pochi imprenditori) che aveva guidato l’emergenza a L’Aquila nel 2009: cioè la via dello spreco, già pesantemente sanzionata dalla Commissione di controllo del Parlamento europeo sui bilanci Ue e dalla Corte dei conti europea (Special report 24/2012), dopo che l’Unione ci aveva rimesso svariate centinaia di milioni. Perché, come vedremo, ciascuna casetta di legno che costruiranno ad Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto la pagheremo perfino più di quanto in Abruzzo ci era costata la Protezione civile di Guido Bertolaso, l’ex capo dipartimento che si avvia felicemente alla prescrizione dei processi penali che lo riguardano. Questione di giorni.

Il prezzo al metro quadro per i moduli abitativi provvisori che la Protezione civile sborserà è infatti di 1.075 euro (contratto Consip del 25 maggio 2016 per “fornitura, trasporto, montaggio di Sae – soluzioni abitative in emergenza”). Il costo supera il valore di tutti i tipi di edifici nuovi e in muratura nella provincia di Rieti e nella zona di Amatrice prima del terremoto: 990 euro al metro quadrato un appartamento, 840 una casa di edilizia economica, 1.000 una villa. Quotazioni immobiliari che nei paesi subito al di fuori dell’area del disastro scendono a 790 euro al metro quadro per un appartamento, 740 per una casa economica, 840 per una villa in ottime condizioni (dati Agenzia del territorio).

Ecco quindi una seconda domanda che il sindaco Pirozzi potrebbe porre al capo dipartimento Curcio, ma anche al ministro dell’Economia, Gian Carlo Padoan: lo Stato può pagare una casa di legno provvisoria in proporzione il 28 per cento in più di una villa di lusso?

Stando così le cifre, è difficile ricavare benefici dalla gara d’appalto organizzata attraverso Consip, la centrale acquisti del ministero dell’Economia. Il valore della fornitura stabilito da Consip per la prenotazione preventiva di diciottomila “soluzioni abitative in emergenza” è infatti di un miliardo e 188 milioni di euro: i contratti, firmati il 25 maggio di quest’anno e suddivisi in tre lotti, sono stati vinti da aziende legate alla Lega Coop, riunite intorno al “Consorzio nazionale servizi” di Bologna, lo stesso attraverso cui l’imprenditore romano arrestato, Salvatore Buzzi, si era garantito alcuni appalti di “mafia Capitale”.

Ad Amatrice fornitura, trasporto e montaggio di ciascuna Sae, così sono state rinominate le casette di legno, ci costerà 66 mila euro Iva esclusa, più i costi di esproprio dei terreni, le opere di urbanizzazione, gli allacciamenti, eventuali urgenze. Perfino più del prezzo stabilito in Abruzzo dalla Protezione civile di Bertolaso. Perché nella cifra del 2009 l’Iva era compresa: 68mila 559 euro per ciascuna delle 3.473 casette, allora chiamate Map.

I costi di oggi condizionano inesorabilmente il nostro futuro. E soprattutto il domani degli sfollati. Come hanno evidenziato sia la Commissione di controllo sui bilanci Ue sia la Corte dei conti europea, ogni spesa inutile, eccessiva o fuori norma durante le emergenze sottrae importanti risorse economiche alla ricostruzione e alla prevenzione dei disastri. Concetti che il capo dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, e il suo vice, Angelo Borrelli, certamente conoscono. Curcio per essere stato dal 2007 al 2008 responsabile della segreteria personale di Guido Bertolaso e dal 2008 al 2012 capo dell’ufficio gestione delle emergenze. Borrelli per aver ricoperto dal 2003 al 2010, sempre sotto la direzione di Bertolaso, gli incarichi di coordinatore dell’ufficio amministrazione e finanza, dell’ufficio bilancio e risorse umane e poi dell’ufficio amministrazione e bilancio. Ma anche per aver firmato, il 25 maggio scorso, i tre contratti sulle casette che impegnano lo Stato con le Coop per i prossimi sei anni in caso di calamità per un miliardo e 188 milioni. Ed è una spesa che non si esaurisce con la firma.

Le case prefabbricate scelte da Curcio e Borrelli e dai loro consiglieri tecnici provocano uno strascico di costi incontrollabili, come il terremoto 2009 in Abruzzo insegna: dagli indennizzi per gli espropri dei terreni alla spesa per le piattaforme di cemento armato su cui costruire i quartieri di legno, dalle opere urbanistiche definitive all’inutile distruzione di territorio. Fino alla desertificazione dei paesi. Con gli interventi imposti dalla Protezione civile a L’Aquila e in provincia, migliaia di sfollati sono stati trasferiti su terreni isolati. E i centri storici si sono spopolati. Anzi, sono finite le risorse che avrebbero dovuto stimolarne la ricostruzione e l’orologio non si è più mosso dall’ora della scossa. In altre parole, le casette provvisorie sono diventate definitive. Ed è proprio quanto sostiene la Commissione Ue per il controllo dei bilanci. Così è scritto nella relazione del 2013: mette sotto accusa l’uso dei 493,8 milioni del fondo europeo di solidarietà nella costruzione dei condomini in cartongesso del progetto “Case”, perché si tratta di opere definitive e non di emergenza, e delle casette di legno “Map”, per la scarsa qualità dei materiali forniti, in alcuni casi tossici, e gli errori di realizzazione che hanno già provocato qualche incendio.

Ad Amatrice e dintorni gli abitanti rischiano lo stesso destino. Perché sulla carta l’epoca di Bertolaso è terminata. Ma Curcio e Borrelli continuano in buona fede ad applicare i suoi piani. Modelli che servivano da vetrina al governo di Silvio Berlusconi. E ancora oggi obbligheranno lo Stato ad affrontare costi altrimenti evitabili. A cominciare dai trasferimenti in albergo sollecitati in questi giorni in vista dell’inverno, fino al “contributo di autonoma sistemazione”: 600 euro al mese a famiglia, somma che nei paesi risparmiati dal terremoto nelle province di Rieti e Ascoli equivale al canone mensile per affittare non uno ma contemporaneamente tre appartamenti di 80 metri quadri (dati Agenzia del territorio).

L’alternativa praticabile è ancora scritta nei fascicoli sul terremoto 1997, depositati negli archivi delle amministrazioni regionali di Umbria e Marche e negli armadi romani della Protezione civile. Un protocollo applicato più volte dal dipartimento allora guidato dal vulcanologo Franco Barberi. E subito stravolto con l’arrivo di Bertolaso. A differenza di quanto è avvenuto in Abruzzo, è un modello totalmente in linea con le direttive di impiego dei fondi di solidarietà dell’Unione europea che dal 2002 a oggi (Amatrice esclusa) ha stanziato per le calamità italiane un miliardo e 246 milioni (di cui 493,8 in Abruzzo e 670,2 in Emilia per il terremoto 2012). È il record europeo: la Germania, seconda, si è fermata a 610,9 milioni.

Nell’emergenza Umbria-Marche il 26 settembre ’97, la magnitudo della scossa più forte fu di 6,1, non molto superiore all’intensità del 24 agosto ad Amatrice. «Anche se il numero delle vittime si fermò a undici, avevamo ventimila sfollati», ricorda Piero Moscardini, allora coordinatore del centro operativo misto di Nocera Umbra. Una vita trascorsa nei vigili del fuoco, poi nella Protezione civile nazionale e una voce sempre critica del modello Bertolaso: «In appena tre mesi a Nocera furono predisposte 37 aree su cui furono posizionati 126 moduli sociali e 941 moduli abitativi per 852 famiglie e un totale di 2.132 persone. Lo stesso fecero gli altri Comuni. Tutti sistemati in tre mesi, non in sette. E se consideriamo l’intero territorio coinvolto dai crolli, bastarono quarantacinque giorni per togliere dalle tende le prime tremila persone. Più di quante oggi attendono una sistemazione nell’area di Amatrice. Vorrei sottolineare il periodo: quarantacinque giorni. Se non mi crede, ecco qua lo stato dei lavori all’11 novembre 1997», conclude Moscardini e mostra la tabella.

La rapidità di intervento di quella Protezione civile era dovuta all’impiego di moduli abitativi trasportabili come container: piccoli appartamenti mobili e riutilizzabili che non richiedevano espropri, varianti al piano regolatore, permessi a costruire o piattaforme in cemento armato. Conclusa l’emergenza, le aree occupate ritornavano al loro impiego precedente: parcheggi, campi sportivi, terreni coltivati. Invece lo staff di Bertolaso se ne liberò dandone qualcuno alle Regioni e lasciando marcire migliaia di moduli nel deposito dell’esercito a Capua, in provincia di Caserta. Oggi l’evoluzione nella produzione mette a disposizione case mobili su ruote: si parte da dodicimila euro a chalet per strutture pronte all’uso in 48 ore. Una soluzione contemplata dalla legge, che affida alla Protezione civile soltanto opere provvisorie. Ma non dai protocolli del dipartimento nazionale.

La confusione in materia è evidente sul sito istituzionale: «È possibile realizzare moduli abitativi con struttura prefabbricata in cemento armato?», chiede un imprenditore in merito alla fornitura delle casette di legno. «La struttura portante potrà essere realizzata in qualunque materiale scelto dal fornitore… Si conferma pertanto la possibilità di realizzare i moduli abitativi con struttura prefabbricata in cemento armato», risponde il dipartimento, esponendo gli sfollati a qualunque materiale, scelto da chi vende e non da chi compra: quindi anche polistirolo, gommapiuma, truciolare scadente, esattamente come a L’Aquila. Mentre il cemento armato provvisorio proposto per Amatrice è un ossimoro strutturale ancora ignorato dalla normativa edilizia. Basta una visita a San Giuliano di Puglia, paese della strage di bambini nella scuola crollata con la scossa del 2002, per verificare cosa succede alle case di legno provvisoriamente fisse: usciti gli sfollati, cadono a pezzi perché costerebbe troppo smontarle e rimetterle a disposizione per una nuova emergenza.

Sempre seguendo il modello Bertolaso, sui conti pubblici già provati dal disastro si abbatte poi il cataclisma degli espropri. In Abruzzo per far posto a “Map” e “Case”, le ordinanze di protezione civile hanno requisito 24mila particelle catastali caricando sui cittadini un costo aggiuntivo di 215 milioni. Tre anni dopo il terremoto, gli interessi legali sugli indennizzi non ancora pagati facevano lievitare la spesa al ritmo di 700 mila euro al mese. Un regalo alla Curia e ai latifondisti aquilani, proprietari di terreni agricoli pagati dallo Stato come fossero edificabili. Ma non è bastato ad aumentare la guardia.

Il report interno della Protezione civile “Assistenza alla popolazione – ore 12 del 21 settembre 2016”, informa che per 2.672 sfollati alloggiati in tenda nelle quattro regioni interessate e 967 volontari in servizio sono tuttora allestiti 7.467 posti: cioè un totale di 3.828 letti fantasma. È comprensibile che nelle prime ore si muovano più forze del necessario: ma dopo un mese dal 24 agosto è giustificabile che la Protezione civile le lasci sul posto, con i relativi costi per le indennità di missione? Il record è della Regione Lazio: 558 volontari con rimborsi di circa 103 euro al giorno a persona per appena 796 ospiti alloggiati su 2.045 posti tenda. Quasi un assistente per ogni assistito.

Saremo pure indietro nella prevenzione antisismica: ma nello spreco di soldi pubblici, non ci batte nessuno.

fonte: espresso.it