Un’incredibile testimonianza sul terremoto che nel 1639 distrusse Amatrice e le sue frazioni:
“NVOVA, E VERA RELATIONE Del Terribile, e Spauentoso TERREMOTO SVCCESSO NELLA CITTA DELLA MATRICE, E SVO STATO, Con patimento ancora di Accumulo, e Luoghi circonuicini, sotto li 7 del presente mese di Ottobre 1639. Con la Morte compassioneuole di molte persone, la perdita di Bestiami d’ogni sorte e con tutto il danno seguito fino al corrente giorno. Con ogni diligenza, e certezza descritta da Carlo Tiberij Romano, per memoria d’vn Caso così miserando, e lagrimeuole“.
Eccone la trascrizione integrale, eccetto l’introduzione. Carlo Tiberi, scrittore e commediografo italiano del XVII secolo Tiberi, dopo la prima relazione scrisse anche una “AGGIUNTA” che completa la testimonianza.
Per approfondimenti, il testo originale, e la trascrizione sono a disposizione su wikisource.org
“Venerdì a di sette del corrente Mese di Ottobre 1639, mentre fuori dal pensiero d’ogni sinistro avvenimento ciascuno nella Città della Matrice, e ne’ luoghi contigui stava riposando, fù sentito alle sette hore di notte in circa un’improviso scuotere di Case, quale apportò non poco timore; ma oltre, che svegliò ciascheduno, lasciò tal paura, che non sapevano appigliarsi ad alcuna risoluzione. Si fermò, e quietò il Terremoto per spazio d’un quarto d’hora; onde restorno sorpresi da stupore, e spavento. Ritornò poi di nuovo con maggior scossa il Terremoto, sì che fece risolver molti a salvarsi la vita, come presaghi di futura rovina, essendo i segni chiari, e manifesti. Vi cadde l’intervallo di un’altro quarto di hora alla spaventosa rovina. Non vollero alcuni credere, non parendogli potere avvenire; onde rimasero e coperti, e estinti sotto i precipizi.
I pianti, le strida, e i compassionevoli gridi, che aiuto chiedevano, accompagnati dall’horrore, e dalle tenebre notturne accrescevano lo spavento. La polvere delli rovinati, e subissati edifici formava nubi nell’aria; onde offuscaua la sua tranquillità. Alcuni fuggirno in Campagna, e altri si ricoverorno nella Chiesa di S. Domenico, ove vi è l’esercizio del Santissimo Rosario, quali furono tutti salvi, invocando ciascuno la Beatissima Vergine per mezana ad impetrar grazia appresso Sua Divina Maestà, acciò fossero liberi dal restare assorti nelle voragini, che cagionava il Terremoto. Del Palazzo dell’Eccellentissimo Sig. Alessandro Orsini Principe della Matrice rovinorno doi parti senza offesa di alcuno, trovandosi in tal tempo Sua Eccellenza con la Eccellentissima Signora Principessa sua Consorte con tutta la loro famiglia, e servitù in una Villa detta Santa Iusta per loro diporto, poco distante dalla Matrice, quale non patì in parte alcuna; per lo che si considera, come Sua Divina Maestà habbia voluto preservarli da simil pericolo.
Il Palazzo del Reggimento è tutto rovinato, come ancora la maggior parte delle Chiese, Edifici, e Case, con perdita di una quantità di persone, il numero delle quali s’intenderà con più certo avviso, poiché molta gente restò sepolta, trà le rovine, e con le pietose strida, e i flebili lamenti, domandando soccorso, movevano a gran pianti, non potendo i Padri aiutare i Figli, i Figli i Padri, i Fratelli le Sorelle, e i Mariti le Mogli, nè un’amico soccorrere all’altro.
Durò il Terremoto sino alle nove hore, e poi cessò a fatto; ma non però si assicurorno di entrare nelle meze disfatte Case, e abitazioni: anzi furono alzate tende in campagna, dove con ogni ordine si fecero Processioni con portare Immagini della Santissima Vergine, e altri Santi, battendosi ciascuno con ogni asprezza, e sino i Fanciulli esclamando misericordia si percuotevano co i sassi. Le Donne si graffiavano il volto, si stracciavano i panni, e strappavansi i capelli. La confusione era grandissima spaventandosi l’vn l’altro con le voci, e l’esclamazioni; furono però raffrenate per la venuta del giorno, quale apportò non poco conforto a quei miseri, ed infelici. Si moltiplicorno i devoti Esercizi, dicendosi, e celebrandosi Messe in campagna, facendosi orazione, e esponendosi preghiere a Sua Divina Maestà, parendo appunto esser giunto il fine del Mondo, e il giorno del Giudizio.
Il Signor Principe con ogni fervenza personalmente si affaticava per sovvenimento de i poveri, incitando a devozione ciascuno, e ordinando provedimento a tutti i bisognosi; opera al certo degna di un suo eguale.
La Chiesa del Crocifisso con il Campanile, dove era un Monastero di Religiose rovinò senza offesa delle Monache.
Furono scavati da 35. Cadaveri in campagna, e altri morirno chiusi dalle rovine, nulla giovandogli il dolersi, il rammaricarsi, e il chiedere aiuto non potendoglisi somministrare, essendovi tramezzata l’acqua di colore più tosto negro, che di altro colore, e con qualche puzza, e fetore; onde vieta l’avvicinarvisi.
Campo Tosto è rovinato parte. San Martino tutto. Collalto a mal termine. Pinaca parte. Filetta, e Nescaia tutte. L’Abadia di S.Lorenzo sotto il Vescovato di Ascoli quasi tutta. Padarga, parte. In Cantone Villa è restata una semplice casa. Corva è destrutta. Forcella tutta. Capricchio bona parte. La Leia poco.
Si perseverava nella penitenza, e nessuno si assicurava di accostarsi per buon spazio alla propria abitazione, ancorche si persuadessero non dover’esser’ più travagliati dal Terremoto, quando il seguente Venerdì, che fù a di 14. del detto Mese d’Ottobre alla medesima hora con maggior violenza si scosse la terra, con la rovina nella Matrice di altre case, e dell’infrascritti Villaggi, cioè:
Saletta poco. Corsenìto quasi tutto. Casale tutto. La Rocca destrutta. Torreto nè meno il segno. A Colle Basso è restata una casa sola. Pasciano bona parte. Santo Iorio tutto fracassato Colle Moresco tutto.
Si distese il Terremoto anco in Accumulo luogo confinante alla Matrice, dove, oltre l’haver nel medesimo tempo destrutte molte persone non sapendosene fin’hora certo numero, ma solo la caduta di casa con morte di undici persone, rovinò la Chiesa de Padri Francescani con la sprofondazione di tutta la loro Vigna, salvi però detti Padri, con incredibile, e commune spavento.
La Rocca de Salli è a fatto rovinata. Poggio Cancello appresso a Monte Reale danneggiato dalla parte del Palazzo del Sig. Lodovico Cerasi padrone di detto luogo, salva però Sua Signoria, e la sua famiglia, e in Monte Reale è rovinato il Palazzo del Signor Gio. Paolo Ricci.
La morte del Bestiame di qualsivoglia sorte è stata grandissima; onde pareva, che si fosse aperto l’Inferno a’ danni del genere umano, non restando ancora di essere impauriti, continuando il Terremoto, se bene non così violento. Si augumentano giornalmente le devozioni, stando ciascheduno con terrore, raccomandandosi a Dio.
Per quel poco, che si è potuto calculare, il danno della Matrice, e suoi contorni avanza la somma di quattrocento mila scudi. Piaccia però al Signor’IDDIO di placarsi contro i peccatori, come si spera, invocato da ogn’vno in suo aiuto con, grandissima contrizione, e vera confessione delle offese fattegli, con quel detto del Salmo: Cor contritum, & humiliatum, Deus non despicies. Per tanto miglior Relazione non vi ho potuto apportare, ma sopragiungendo altra più certa nova, ne farò consapevole ciascheduno, essendo veramente caso lagrimoso, e degno di eterna memoria.
AGGIUNTA Alla Compassionevole RELAZIONE DEL TERREMOTO Successo nella Città della Matrice, e suo Stato, & anco ne’ luoghi circonvicini. Con la narrazione di tutto l’avvenuto avanti, e dopo li 17. del corrente Mese d’Ottobre MDCXXXIX. fino al giorno presente.
(…) Promisi darvi più certa nuova, ve la porto: e in vero lagrimoso stendo narrazione memorabile, e efficace a muovere l’insensibili alla riverenza Divina, quando in essi punto di sensibilità si restringesse.
Una Chiesa nella Matrice dedicata al Santissimo Sacramento è totalmente rovinata (…),
Le Fontane, che continuamente scorrevano rivi d’acqua limpidissima, ora alcune sono restate secche, e altre gettano acqua torbidissima, e nera.
Reca grandissimo stupore, e tema insieme il Tronte, fiumara grossissima, quale sono molti giorni, che si mostra spaventoso, e quasi un nuovo Mare romoreggia, ondeggia, e freme in modo, che sembra ululati, e strida infernali essendo l’acqua così nera, e puzzolente, che atterrisce l’udito, e scaccia l’odorato, non che il guardo.
La maggior parte di quelli, quali sono restati salvi, sono andati à ricoverarsi in Ascoli, in altri luoghi, e anch’in Roma ve ne son venuti.
A di 17. del presente mese d’Ottobre, facendosi la Processione del Santissimo Sacramento per la quasi disfatta Matrice, con seguito di moltitudine di persone, quali davano grandissimi segni di conpunzione con disciplinarsi a sangue, e mostrando veri inditij di pentimento, fè sentirsi il Terremoto, quale accennò rovina, mà però non danneggiò mentre passava il Sacramento, se non che passata la Processione caderno molte Case, e Palazzi, senza morte di alcuno, essendo le abitazioni già state abbandonate per la paura. Il Terremoto à fatto esterminò, subissò, e disfece Case, e Palazzi, onde a pena vi si scorgono le vestigia della Matrice non tanto, quanto di altri già narrati luoghi.
Alcuni Signori della Matrice offeriscono à quei tali, che vogliono arrischiarsi di entrare trà le rovinate Case, e habitationi, e adoprarsi à ricuperare le massaritie, e denari ivi sepolti, la metà di tutto quello, che cavaranno fuori.
L’Eccellentiss. Sig. Principe va religiosamente confortando le genti, esortandole alle devotioni, mostrando gran pietà, e compassione, avendosi fatta alzare un’habitatione di tavole in Campagna portando di persona il vitto a quell’infelici, quali timorosi anco vivono vilipendendo la vita, durando a sentirsi il Terremoto con general terrore.
La perdita si accerta per un miglion d’oro in circa, e si può credere essere il danno maggiore di quello ch’io riferisco, stante ne fanno testimonianza molti di quei paesi, che in Roma si ritrovano di fresco giunti. I morti si tiene siano da 500. in circa.
Le Meretrici dicesi, che mostrandosi grandemente compunte si battevano fortemente con funi, e punte di ferro, gettandosi a’ piè dogn’uno, acciò le affliggessero, e le calpestassero, giudicandosi esser state loro motrici dell’Ira di DIO.
In Recanati ha dato il Terremoto qualche fastidio nel sopranarrato tempo, senza danno alcuno.
In Rieti ha portato qualche spavento: onde quel Popolo (temendo l’Ira divina) ha mandato in Roma dodici Zitelle scalze, per impetrar misericordia da S.D.M. e pregarlo a placarsi contro i peccatori.
Per tanto si compiaccia S.D.M. di liberarci da simili accidenti, non mancandosi però dalla nostra parte di mostrarglisi grati, e ricordarci di riverirlo come nostro benefattore, essendo che quando meno ci pensiamo all’ora ci giunge il rigoroso, severo castigo della sua potente mano, non trovandosi riparo alle sue punizioni, poiche se non son meritate non vengono.
E questo è quanto, per certezza ho potuto riferirvi, e finisco.