28 agosto 2016 – Lo sguardo, gli sfollati del terremoto li riconosci dallo sguardo. Gli occhi lucidi di chi ha usato anche l’ultima lacrima, e la fissità dello sguardo di chi ha visto la morte in faccia li riconosci subito. E ti gela il sangue nelle vene.
L’avevano anche gli aquilani sfollati sulla costa, lo sguardo perso nel vuoto a guardare quell’inutile mare davanti a loro. Ha lo stesso identico sguardo anche Giuseppina Claradonna, di Amatrice, da un paio di giorni arrivata nei moduli abitativi provvisori di Santa Rufina di Roio. Lei è una delle poche a non aver perso gli affetti nel disastroso terremoto.
Il marito è rimasto lassù a curare gli animali, il fratello viveva a Collebrincioni, e dal terremoto del 2009 vive sfollato anche lui, a Santa Rufina di Roio. «Non sapevo dove andare», racconta Giuseppina, «e allora ho pensato a mio fratello. Ho chiesto al Comune dell’Aquila se potevano ospitarmi in un Map vicino a mio fratello, che è l’unico che ha la macchina. E non pensavo di trovare tanta solidarietà qui all’Aquila, dalla gente e dagli stessi operai del Comune che in un giorno mi hanno allacciato le utenze».
La macchina è rimasta sotto le macerie di Amatrice, insieme alla loro casa nel centro storico. «Ho perso tutto, ogni cosa, ma siamo tutti vivi, io, mia madre Domenica Cianfrini e mia figlia Marzia Cavezza». C’è un’altra cosa che sembra comune tra i terremotati, la noncuranza per le “cose” e l’attaccamento alla vita, alle persone e agli animali di casa. «Non m’importa di quello che ho perso, l’importante è essere vivi, la vita è la cosa più importante», racconta Giuseppina. Sotto al tavolo due cagnolini, Sissi e Ciro, si nascondono sotto le sedie.
«Dopo il terremoto li abbiamo trovati nascosti sotto al tavolo, terrorizzati. Stiamo ancora cercando i tre gatti di casa», racconta Giuseppina. «Mio marito mi ha detto di averne visto uno. Abbiamo lasciato loro da mangiare e bere». Giuseppina con la madre stava in centro, ad Amatrice, e racconta i momenti terribili della scossa, della casa che cade, i vicini intrappolati salvati dal figlio che si è ferito alle gambe e alla spalla per cercare di salvare due bambini.
«La bambina era viva, ma mentre cercava di raggiungere il bambino, quello gli ha stretto le dita tra le mani ed è morto…». Arrivano le sorelle Marinangeli, Mara e Angela Maria, due aquilane impegnate nella solidarietà, che ai tempi del terremoto dell’Aquila avevano allestito una tendopoli a Roio, e oggi aiutano i nuovi sfollati. Nei Map non ci sono le pentole e le piccole cose di ogni cucina, in tanti anni, si sono rotte, sono andate perse, e quindi ogni sfollato portava le sue. E così Mara e Angela sono andate di corsa a comprare il necessario. Marzia, pochi attimi prima del terremoto, stava mettendo a posto i tavolini del bar dove lavorava, ha visto Amatrice sparire davanti ai suoi occhi, il boato, il buio e una nube rossastra. Le donne cercano lavoro: Giuseppina è brava ai tavoli, Marzia al bar, ma non disdegna la cucina. «Lei è brava, cucina benissimo», dice parlando della figlia. Gli occhi di Giuseppina si illuminano, lo sguardo non è più perso nel vuoto come poco prima.
di Raniero Pizzi – da Il Centro –