Tutti i metodi per prevedere un terremoto (e perché ancora non funzionano)
di Giovanni Bignami, da chefuturo.it – Incredibile, ma vero (e anche crudele, in questi giorni). Se non ci fossero i terremoti, non ci sarebbe vita sulla Terra. Il nostro pianeta è una palla calda dentro, con un nucleo che è fuso, in parte grazie al calore originale di formazione, 4,65 miliardi di anni fa, in parte per il decadimento di pesanti nuclei radioattivi, come uranio o torio, pian piano affondati verso il centro.
La combinazione di termodinamica e gravità fa il resto. Dal centro, il materiale caldo viene verso la superficie e fa muovere i pezzi di crosta superficiale. Anche se simile, questa “tettonica a zolle” è più complicata da capire che non i moti convettivi dell’acqua per la pastasciutta, a causa della presenza di forti disomogeneità di composizione, della rotazione terrestre, del campo magnetico e così via. C’è voluto del tempo per arrivarci.
La chiave fu l’osservazione della carta geografica per le due rive dell’Atlantico a sud dell’equatore. L’incastro perfetto dei profili costieri, orientale per l’America del Sud ed occidentale per l’Africa, suggerì la teoria della deriva dei continenti, confermata e accettata solo da poco più di mezzo secolo. Sì, i continenti, o meglio, le placche continentali, le “zolle“, spinte da sotto, si muovono e, inevitabilmente, finiscono per scontrarsi. Così nascono le catene di montagne, dalle Alpi all’Himalaya, mentre dalle spaccature tra le placche sale il caldo che c’è dentro, cioè i vulcani, di solito allineati in lunghe file, come intorno alla costa orientale dell’Asia.
È il materiale che sale dal profondo a portare in superficie sempre nuovi elementi, ancora vergini di interazioni con l’atmosfera e con la biosfera, pronti a rinnovare il parco di nutrienti disponibili, anche per noi. Questo meccanismo non solo spiega perché il vino dell’Etna (per esempio), fatto da vigne radicate nella lava, è così buono. Più in generale, si può calcolare che se la tettonica a zolle, con i suoi moti convettivi dal profondo, si fermasse anche solo per dieci milioni di anni, scomparirebbe per “fame” ogni forma di vita sulla Terra. Grazie tettonica.
Ma sono i moti del materiale terrestre vicino alla superficie (diciamo 100 km, contro i 6300 circa del raggio terrestre) a generare le tensioni e le spinte all’origine dei terremoti. Purtroppo, al nostro pianeta non interessa niente di quei pochi atomi di vita sulla sua superficie, né che i suoi normali assestamenti geofisici distruggano qualcuno di quegli esserini e tutto quello che hanno costruito. Maledetta tettonica? No, la vita del nostro pianeta continuerà indisturbata per miliardi di anni e con lei la tettonica, almeno finché ci sarà abbastanza calore all’interno.
Invece su Marte, per esempio, che è più piccolo della Terra, il raffreddamento è più avanzato, non ci sono più vulcani attivi, ci sono pochissimi terremoti e la vita, se c’è stata, è probabilmente estinta.
Per noi implumi bipedi terrestri la chiave è proprio la geofisica. Dobbiamo studiare a fondo la fisica della Terra ed arrivare, se non a controllare (impossibile sul piano energetico), almeno a predire dove e quando avverranno i terremoti. È un po’ come il caso del clima atmosferico, una storia di successo: non riusciamo ancora a controllarlo, ma sappiamo dire abbastanza bene dove e quando pioverà. E se da decenni abbiamo previsioni più precise di quelle dei calli del nonno è perché abbiamo studiato la fisica della atmosfera dallo spazio.
Per la geofisica, un primo aiuto molto importante viene, guarda un po’, dalla astronomia. Le stelle, e le galassie, lontanissime, stanno a guardare quello che succede sulla Terra ma forniscono un utile punto di riferimento. Puntando la stessa galassia nello stesso momento con due speciali telescopi radio sulla Terra, lontanissimi tra di loro, ed usando la posizione della galassia come punto di riferimento, una tecnica astronomica ad hoc permette di misurare con altissima precisione le posizioni relative dei due strumenti. Ripetendo l’osservazione, si misura il moto delle placche sulle quali sono costruiti i radiotelescopi, con una precisione di pochi millimetri all’anno.
In Italia, per esempio, l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) ha un radiotelescopio a Noto, nel sud della Sicilia, che, lavorando con altri strumenti, misura il moto della placca Africana che spinge contro quella Europea (“il continente”), al ritmo di un centimetro all’anno. È evidente come una rete di strumenti del genere permetta di mappare sulla Terra i punti di massimo stress, cioè quelli dove i terremoti sono più probabili. Esistono anche altri metodi di indagine diretta e più localizzata per la mappatura del sottosuolo in profondità, con carte tridimensionali sotterranee disponibili praticamente per tutta l’Italia (compresa, per esempio, l’Emilia).
Ma se così riusciamo ad avere una idea abbastanza precisa di dove i terremoti possano avvenire con maggiore probabilità, anche se sempre di probabilità si tratta, molto, ma molto più difficile è prevedere quando il terremoto colpirà. Qui brancoliamo nel buio, dal medioevo all’era spaziale.
A parte i cani che ululano o i gatti che scappano, segnali dubbi e comunque non tali da permettere l’evacuazione di una città, in Cina (e forse non solo) da sempre si usa osservare la variazione di livello dell’acqua nei pozzi. In fondo, data una rete abbastanza grande ed abbastanza affidabile di osservazioni contemporanee, un minimo di fondamento il metodo ce l’ha, ma proprio un minimo se pensiamo alla profondità dei pozzi (pochi metri), alla profondità media degli eventi sismici (molti chilometri), alle variazioni della composizione del terreno, piogge, ecc. Non ci sono comunque prove, da Marco Polo in poi, che il metodo abbia mai funzionato.
Leggermente più scientifico è il metodo delle fughe di radon, che creò inutili polemiche dopo il terremoto dell’Aquila del 2009. Il radon è un gas pesante e radioattivo e per questo facilmente rivelabile. Intrappolato, anche in profondità, nelle rocce, talvolta sfugge attraverso fessure, ed è, tra l’altro, potenzialmente pericoloso in alte concentrazioni. Un aumento significativo e localizzato della emissione superficiale di radon potrebbe far pensare a spostamenti profondi della roccia, potenziali prodromi di un terremoto. Anche qui, non ci sono prove definitive che il metodo funzioni.
Il metodo “spaziale” è dovuto, in origine, alla fantasia di fisici russi, e riguarda il campo magnetico terrestre che, naturalmente, permea tutte le rocce, dalla superficie in giù. Una variazione improvvisa e localizzata del campo magnetico potrebbe, anche lui, far pensare a movimenti sotterranei. Solo che per rivelare variazioni, magari piccole ma improvvise, del campo magnetico, i fisici hanno pensato di osservarle quando sono amplificate, cioè nello spazio. Il campo magnetico, uscito dalla superficie, crea una specie di sfera protettiva intorno al pianeta (un altro dei fattori che permettono la vita sulla Terra). Nella bolla magnetica che ci contiene vengono anche “intrappolate” particelle cariche, per esempio elettroni, che passavano di lì. Ebbene, se varia il campo profondo, ancora di più varia quello nello spazio, a centinaia di chilometri da terra e varia quindi la quantità di particelle intrappolate, che sappiamo rivelare molto bene, in linea di principio, dato il satellite giusto, al posto giusto, nel momento giusto.
Fu un incubo, all’Agenzia Spaziale Italiana, cercare di capire, qualche anno fa, se questa idea fosse una genialità o una bufala. Alla fine, fatti alcuni tentativi, si capì che no, non avevamo in mano il modo sicuro di prevedere i terremoti, neanche lontanamente. A parte la fisica, che è giusta in teoria, sono troppe le difficoltà pratiche di misura ed interpretazione. Anche qui, nessun risultato concreto.
In un altro modo, dallo spazio abbiamo risultati molto concreti, invece, sugli effetti dei terremoti. Con l’osservazione della Terra con speciali radar orbitanti, per esempio, sempre dall’ASI sono venute mappe chiare e molto precise dello spostamento del terreno dopo gli eventi dell’Aquila e di quello recente in Emilia. Osservazioni utilissime per l’interpretazione del sisma e molto altro, ma non previsioni. L’unica interessante eccezione è l’osservazione, con questo metodo, del profilo altimetrico dei vulcani: prima di una eruzione, per esempio, l’altezza dell’Etna aumenta fino a tre centimetri. Misura impossibile da fare da Terra, ma possibile dallo spazio e perfettamente correlata con le eruzioni.
Prevedere una eruzione di un vulcano è certo molto più facile che prevedere un terremoto nel tempo in un punto qualunque della Terra (compresi i terremoti sottomarini che poi fanno gli tsunami), ma forse il metodo spaziale è degno di attenzione.
La Terra è una palla calda dentro, dicevamo. È anche, finora, l’unico posto che conosciamo dove ci sia la vita, possibile perché siamo alla distanza giusta dalla stella giusta, ma anche grazie a fattori come l’atmosfera, il campo magnetico e, appunto, la tettonica. Per centinaia di migliaia di anni siamo vissuti ed evoluti sulla Terra convivendo in pace con la tettonica ed i relativi terremoti essenzialmente perché non sapevamo ancora mettere niente di solido sopra le nostre teste. Adesso, per favore, impariamo a rendere stabile quello che mettiamo sopra le nostre teste, soprattutto in Italia. Forse riusciremo un giorno a prevedere i terremoti e salvare vite umane, ma certo non riusciremo mai a fermarli.
Milano, 5 giugno 2012
GIOVANNI BIGNAMI
fonte: chefuturo.it