L’Aquila, 19 novembre 2015 – Riguardo gli insulti diffamatori subiti nei giorni scorsi da parte di Cialente&Company, dopo aver immediatamente annunciato querela, solo oggi torno sull’argomento e solo con una nota con FB per non alimentare nuove polemiche che non interessano a nessuno.
Mi hanno fatto piacere i tanti attestati di stima e solidarietà ricevuti, anche da esponenti del partito del sindaco. Vi ringrazio tutti.
IL PERCHE’ DELLA QUERELA
Fascistello di periferia (come se di periferia fosse un’aggravante …), mafioso, sciacallo, quaquaraquà, fino ai recenti elusore fiscale e imprenditore fallito sono alcuni degli epiteti con cui in questi anni sono stato apostrofato, sulla stampa e in Consiglio comunale, da uno che fa il sindaco.
Alla polemica politica, spesso aspra ma sempre documentata e mai offensiva, mi si è sempre e solo risposto, non avendo altri argomenti, con insulti.
Ma la scorsa settimana si è veramente passato il segno e la querela serve a tentare di riportare il dibattito in una dimensione politica e civile. Non per abbassare i toni, che possono essere anche alti ma sempre nell’ambito della dialettica politica che nulla deve avere a vedere con gli insulti personali.
Ne va del vivere civile della nostra comunità, della possibilità e necessità del confronto e del conflitto di idee e di opinioni che difficilmente si può sviluppare su basi contenutistiche quando la controparte è abituata a rispondere infamando chicchessia. Una diversa cultura politica, insomma.
Ovviamente mi sono “meritato” questi appellativi quando sono andato a toccare dei punti dolenti: le nomine e la gestione nelle partecipate, i finanziamenti elettorali elargiti da costruttori con procedimenti giudiziari con il comune, l’aeroporto, il disastro del progetto Case e, naturalmente, l’affaire dei puntellamenti che denunciammo ben prima che scoppiassero le inchieste e che ancora oggi è tutto da chiarire. Evidentemente si è poco abituati a un’opposizione documentata e senza sconti.
Degli insulti del presidente Benedetti non mi occupo, mi preoccupo solamente di come i suoi comportamenti squalifichino non la sua persona ma, purtroppo, l’istituzione che rappresenta.
SINDACO PER CENSO
Cialente ha affermato che se una persona guadagna meno di un tot non può aspirare a fare il sindaco. Credevo che le limitazioni di censo per l’elettorato attivo e passivo fossero state superate ad inizio del secolo scorso. Evidentemente mi sbagliavo, una diversa cultura politica appunto che giudica il valore di una persona in base al reddito. Ne prendo atto.
L’IMPRENDITORE FALLITO
Cialente in pratica dice che chi dichiara meno di tot è un elusore e un imprenditore fallito. Della prima affermazione ne discuteremo come detto in tribunale.
Sulla seconda, quella del fallito, abbiamo un’altra volta una diversa cultura, questa volta di etica e significato del lavoro.
Evidentemente conosce poco il mondo di una parte di piccole imprese fatto di passione, creatività e sacrificio, da chi svolge con onestà e correttezza il proprio lavoro.
Chiunque abbia un’azienda sa che il reddito, come il fatturato, non si valuta mai in un solo anno ma va considerata una serie storica pluriennale.
Questo perché rispetto a chi ha uno stipendio fisso ci possono essere dei fattori distorsivi in una sola annualità.
Nel mio caso, ad esempio, nel 2014 non ho percepito parte degli emolumenti previsti in quanto un ente pubblico ha tardato clamorosamente i pagamenti alla nostra azienda che sono quindi slittati all’anno successivo. E visto che non amiamo i debiti con le banche, noi soci ci riduciamo gli stipendi anche per assicurare che i nostri collaboratori abbiano il proprio stipendio senza un giorno di ritardo. Se accadesse ciò, allora si che mi sentirei un imprenditore fallito! Se anche le società partecipate dal Comune si comportassero cosi …
Ci sono poi anni, e il 2014 è stato uno di questi, in cui un’azienda semina, investe anche assumendo personale, per poi raccoglierne i frutti gli anni successivi. E sono gli anni difficili che però danno le maggiori soddisfazioni.
C’è inoltre un altro fattore: da che sono consigliere comunale il mio stipendio è stato decurtato in quanto non posso assicurare la presenza costante a lavoro proprio perché alcuni giorni sono impegnato a L’Aquila e non posso stare a Roma.
In ultimo colgo l’occasione di spiegare quanto “costa” al Comune un consigliere. Al di là dei gettoni di presenza, il vero costo per il Comune è il dover rimborsare all’azienda presso cui lavora il consigliere le giornate in cui quest’ultimo è stato assente perché impegnato in consiglio o in una commissione.
Fin dall’inizio la nostra azienda ha deciso di non avvalersi di questa regola per non gravare sulle casse del Comune. Non ho mai detto questa cosa fino ad oggi in quanto non è una mia scelta politica ma una decisione presa insieme ai miei soci.
Una diversa etica del lavoro, appunto.