VIGILIA DELLA FESTA DEGLI ALPINI (di Emanuela Medoro)

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di Emanuela Medoro | Maggio 2015: L’Aquila, Adunata nazionale degli alpini.

Gran bella occasione per la città, oggi, 13 maggio, piena di gente e un movimento mai visto. Rapidamente asfaltate a nuovo e ripulite le strade, rasati i prati ed estirpate le erbacce lungo i marciapiedi. Patetica la staccionata intorno al muretto delle caserme del Torrione dipinta in tricolore. Era più semplice, e doveroso verso i cittadini, restaurare il muretto appena sbrecciato dal sisma del 2009, e togliere la staccionata che restringe la strada. Insomma, benché malandata, ed in via di lenta guarigione, la città si sforza di fare bella figura difronte ad ospiti provenienti da tutta Italia.

Ricordo un episodio di circa due mesi fa, quando un alpino delle nostre montagne descriveva con entusiasmo, con la luce negli occhi, quello che sarebbe successo in città a maggio. Io e le altre donne intorno non avevamo gran che da aggiungere o commentare. Osservavo però l’entusiasmo di questo uomo ormai anziano e nonno da parecchio tempo, un entusiasmo che lo illuminava, e gli ispirava le parole. Ma da dove veniva quella specie di gioia? Secondo me è il ricordo dei vent’anni, quando per la prima volta, in seguito alla lettera dello stato, i giovani lasciavano la casa, la mamma, le sorelle, gli amici e il paese o il quartiere dell’adolescenza. Per la prima volta essi assaporavano la sensazione della liberazione dalla casa natia, vedevano mondi nuovi e si aprivano loro orizzonti di esperienze sconosciute. Nelle caserme. Che non conosco, conosco solo il significato della frase “linguaggio da caserma”, un tipo di linguaggio ricco di riferimenti di natura sessuale, sempre di un maschilismo sprezzante e poco riverente per le donne. Oggi, però, diffuso fra uomini e donne.

Insomma noi donne non abbiamo avuto questo battesimo della crescita, per cui sentiamo in maniera diversa le emozioni e i sentimenti per l’adunata degli alpini. Con un pò di doverosa fiducia verso le istituzioni che ci dovrebbero difendere, ci preoccupiamo assai per le possibili infiltrazioni di elementi non pacifici, tipo black bloc o, peggio, Isis. Minacciosissimi questi ultimi, che fanno sapere di essere presenti sul territorio italiano. Ci preoccupiamo per attacchi a cose e persone, per gli intralci alla viabilità, per l’impatto dell’invasione di 400.000 mila persone su una città di 60.000 abitanti. E poi, francamente, tanti serbatoi, enormi, da 900 litri di birra fanno una pessima impressione.

Però qualcosa c’è, che supera le differenze culturali di genere. La musica. Quando nella Piazza Castello ho sentito il coro degli alunni delle scuole medie de L’Aquila intonare la canzone “Sul cappello”, ho avvertito un moto di commozione, condiviso anche da altre donne intorno a me. Veniva dal profondo dei sentimenti, quelli inconsci, più forti della ragione. Quelli che esprimono il ricordo di guerre feroci, del sangue versato per i nostri confini, compassione per i caduti di tutte le guerre, ed anche appartenenza ad un gruppo sociale, solidarietà e amicizia. Insomma le marce militari, le canzoni di guerra, quelle tristi e lente e quelle allegre, esprimono i sentimenti che ci identificano tutti, come italiani e come europei.

Emanuela Medoro

13 maggio 2015