Un bacino idrografico particolare, fiumi sotterranei, territori scoscesi. Ma il vero problema della Liguria e del resto d’Italia è una politica sbagliata.
di Michela Dell’Amico, Wired.it – Sfollati, frane, un treno deragliato, un morto, un disperso, un ferito grave e tanti danni. Perché, anche con questa ondata di maltempo, la Liguria è ancora una volta la zona più colpita d’Italia? La sua posizione lungo la costa facilita le forti precipitazioni, con gli appennini a far da barriera alle masse d’aria umida che arrivano dal mare. “Ma questo succede anche in Versilia, a Salerno, un po’ ovunque lungo i nostri 5mila chilometri di costa”, spiega Francesco Napolitano, docente di Idrologia e modelli idrologici all’università Sapienza di Roma.
Fiumi sotto le strade e bacini idrografici piccoli |
“Inoltre, visti i tanti falsi allarme, anche quando la previsione è giusta viene presa sottogamba”, dice Napolitano. E’ quel che è successo in Sardegna: l’allerta della protezione civile arrivò al centro regionale via fax, a uffici chiusi, e restò ignorato.
Si punta tutto sulle previsioni, ma spesso si ignorano
Del resto il dispendio di risorse ed energie è elevato, e agire solo sulla base delle previsioni meteo è a rischio. “I tempi di risposta della protezione civile sono di 6-12 ore. Bisogna mettere i sacchi di contenimento, allertare i vigili del fuoco e via dicendo”, . E di falsi allarmi ce ne sono stati parecchi, il più recente quello che coinvolse l’allora capo della protezione civile Bertolaso nella temuta piena del Tevere del 2008: si agì per tempo, ma poi la piena non venne. Ecco perché poi accade spesso che le allerte meteo vengono sottovalutate.
Una politica fallita, “La Romania meglio di noi”
E la politica? A fine anni ’90 si è capito che la politica dei due tempi era fallita. Si tratta di un sistema diviso così: il primo tempo per capire quali sono le zone prioritarie per gli interventi di messa in sicurezza, il secondo tempo era agire con i soldi a disposizione. “Intanto che si pensava a cosa fare però, capitavano le alluvioni, e i fondi per la prevenzione diventavano soldi per l’emergenza. Alla fine non c’erano mai risorse e le opere strutturali non si sono fatte. Dal 2000 si è iniziato a cambiare strategia: al posto della messa in sicurezza con argini e casse di espansione, si è pensato a opere non strutturali, ovvero, appunto, migliorare le previsioni meteo per limitare i danni“, racconta Napolitano. “Cosa che tra l’altro costa meno. Così sono nati i centri funzionali di gestione del rischio: una rete radar nazionale che aiuta a capire bene dove e quando piove, con una modellistica idraulica per individuare le zone più vulnerabili”.
La messa in sicurezza è stata così messa da parte, e la meglio gioventù potrebbe tornar comoda di nuovo a Firenze, se dovesse piovere ancora come fece nel 1966.
“Da allora l’Arno sta ancora lì com’era e una forte pioggia lo farebbe esondare ancora“, afferma il geologo: “Questa politica ha un effetto buono perché ci ha resi più preparati sul fronte delle previsioni e degli interventi: ma non si risolve mai il problema alla radice”. Un passo cruciale sarebbe – come si fa all’estero – un’assicurazione anti calamità che comprenda il rischio idrogeologico. Coprirebbe i danni, e i fondi disponibili potrebbero finalmente andare alla messa in sicurezza del territorio, a curare le falle che sono lì e ogni anno portano sciagure: si potrebbero realizzare per esempio opere arginali a difesa dei centri urbani, anche a Firenze. “All’estero si fa così. Anche la Romania ha un’assicurazione, ma da noi ancora non ci siamo arrivati”, conclude Napolitano. fonte: wired.it |