VESUVIO: È DAVVERO POSSIBILE PREVEDERE UN’ERUZIONE?

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Il Vesuvio non è solo un vulcano attivo alto 1.281 metri. Il Vesuvio sono i suoi 500mila visitatori annui, i 700mila abitanti residenti nei Comuni limitrofi, i suoi 230 minerali, le sue 900 piante descritte nel Parco Nazionale, dove giace zitto dal 1944. E poi certo, il Vesuvio è anche un pericolo reale, inevitabile, ma non necessariamente imminente. A tal proposito la rete vibra di catastrofismi che incuriosiscono e preoccupano chi legge. Ma quanto c’è di vero in questo allarmismo che si ripresenta ciclicamente? Come si comporta realmente il Vesuvio?

Se il Vesuvio fosse un paziente, il medico direbbe che le sue condizioni sono mediamente stabili da 70 anni. Nel ‘900 il vulcano si è svegliato con risultati significativi quattro volte: 1906, 1929, 1933, 1944. La prima resta la più violenta; l’ultima risale al marzo del 1944, quando l’esercito angloamericano a Napoli osservò il Vesuvio eruttare per circa due settimane: la lava si elevò per 800 metri di altezza, i comuni di Massa e San Sebastiano furono distrutti e 26 persone furono bruciate vive. Tuttavia, l’aspetto più significativo fu il cambiamento che questa eruzione ebbe sul vulcano. Da allora il Vesuvio è un vulcano attivo a condotto ostruito.

Ciò vuol dire che non erutterà nuovamente? Al contrario, questa è cosa certa. Il problema resta un altro: prevederlo.

Secondo Flavio Dobran, docente alla New York University, è possibile distinguere l’attività del Vesuvio in tre diverse tipologie: larga scala (ogni 1.000 anni); media scala (ogni 4-500 anni); piccola scala (ogni 30 anni). Se volete, fate un po’ di conti. Ma cosa c’è di vero? Secondo il Prof. Giuseppe De Natale, direttore dell’Osservatorio Vesuviano-INGV, quasi nulla: «Non esiste un catalogo di eruzioni abbastanza ricco da poter estrarre delle ricorrenze statistiche come quelle che Dobran ipotizza. Quindi, allo stato attuale queste ipotesi non hanno alcuna seria base statistica, nessuna base scientifica». Piuttosto, aggiunge De Natale, «il problema è la frequenza di tali eventi. In natura, le eruzioni piccole sono molto più probabili di quelle grandi. E’ esattamente questo il motivo per cui l’area napoletana, malgrado il rischio vulcanico, è da circa 3000 anni una delle più popolose e più ricercate al mondo».

Quanto tempo prima, chi monitora l’attività del vulcano, potrebbe segnalare un cambiamento sospetto?

«Non esiste una risposta univoca a questa domanda: dipende dai casi. Posso però dire che le eruzioni avvenute in tempi recenti su vulcani ben monitorati sono sempre state precedute da segnali premonitori chiari. In base alle esperienze passate sui vulcani del mondo, ed in base alle nostre conoscenze vulcanologiche, posso affermare che le eruzioni esplosive, specialmente quelle grandi, sono precedute da fenomeni premonitori che, quasi sempre, anticipano di tempi lunghi l’eruzione: mesi, anni, o anche più».

In realtà il problema non sarebbe quello dei mancati segnali precursori. Il vero problema per De Natale sembra essere «l’alta probabilità di falso allarme, ossia che anche chiari segnali precursori non siano seguiti da un’eruzione». In che senso? «Poiché i costi economici e sociali di un’eruzione sono molto alti, diventa critica la decisione ‘politica’ di evacuare, perché con grande probabilità – ossia se nulla dovesse accadere – si sarebbe oggetto di feroci critiche. Ma è, appunto, un problema politico, non scientifico».

Foto: Andrea Ardolino
Fonte: www.mxpress.eu

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