Nel mondo delle imprese italiane batte un cuore verde. Sono infatti tre milioni i cosiddetti green job creati negli ultimi cinque anni, dal 2008, ad opera di 328mila aziende nostrane dell’industria e dei servizi. Non basta: da questa fetta della torta industriale (il 22 per cento del totale) arriverà quest’anno il 38 per cento delle assunzioni del settore: 216.500 su 563.400. Sono alcuni dei dati contenuti nel quarto rapporto GreenItaly 2013. Nutrire il futuro, presentato ieri al quartier generale di Expo 2015, a Milano, da Unioncamere e Fondazione Symbola (scarica il rapporto).
Valore aggiunto: 100,8 miliardi di euro
Se si allarga lo sguardo, e si puntano i riflettori sulle attività di ricerca e sviluppo delle aziende italiane, si scopre ancora che i lavori verdi, legati dunque al business ambientale, saranno il 61,2 per cento del totale. Detto in cifre, la green economy ha prodotto l’anno scorso 100,8 miliardi di euro di valore aggiunto, il 10,6 per cento del totale dell’economia nazionale. “ GreenItaly – ha spiegato Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere – ci racconta di un’Italia che sa essere più competitiva e più equa, perché fondata su un modello produttivo diverso. In cui tradizione e innovazione, sostenibilità e qualità s’incrociano realizzando una nuova competitività. L’Italia non è una delle vittime della globalizzazione ma, anzi, un Paese che ne ha approfittato per modificare profondamente la propria specializzazione internazionale, modernizzandola, proprio grazie alla green economy“.
Forti sull’export e nell’innovazione
Le aziende che investono nel comparto green sono più forti nelle esportazioni: il 42 per cento, infatti, vende i propri prodotti fuori dai confini nazionali, contro il 25,4 per cento di quelle che non lo fanno. Stesso discorso per la propensione all’innovazione: il 30,4 per cento ha migliorato i propri prodotti o servizi contro il 16,8 delle imprese che non ha investito nel verde. Di conseguenza, è cresciuta anche la redditività, almeno per il 21,1 per cento delle aziende manifatturiere verdi.
Occupazione giovanile |
In generale le imprese cercano lavoratori laureati, con una buona esperienza e competenze trasversali. Il 14 per cento di queste assunzioni va fra l’altro a inaugurare caselle prima inesistenti.
I comparti più verdi
Chi spinge di più l’acceleratore sugli investimenti green? Guida la classifica il comparto chimico e farmaceutico con il 44,1 per cento, poi l’agricolo con il 49,1 per cento e il legno-mobile (30,6). Ancora, il settore della fabbricazione delle macchine e attrezzature e mezzi di trasporto (30,2). Chiudono il gruppo dei virtuosi il settore alimentare (27,7), tessile, abbigliamento, calzature e pelli (23) e il comparto costruzioni (21,5). Anche i media fanno la loro parte con il 27 per cento di investimenti verdi.
Tira il Nord, ma il Sud si difende
Anche sotto il profilo geografico, una volta tanto la green economy non sembra approfondire il solco Nord-Sud. È vero: circa 170mila imprese su 328mila, il 52 per cento, si trovano al Nord (Nord-Ovest 28,7 per cento, Nord-Est 23,1 per cento). Ma il Meridione risponde con 93.510 aziende, il 28,5 per cento del totale. Fanalino di coda il Centro, che si attesta su 64.770 (19,8 per cento). Ma la distribuzione appare tutto sommato uniforme. “ Non stiamo parlando, evidentemente, di un settore dell’economia – hanno sottolineato da Unioncamere e Symbola – ma di un tracciante verde che percorre il sistema produttivo italiano e che, a ben guardare, delinea il ritratto più fedele del nuovo made in Italy”. A tirare la classifica regionale c’è la Lombardia, poi Veneto, Emilia-Romagna e Lazio. Ma fra le province spicca Roma con oltre 20mila imprese.
Agricoltura, fiore all’occhiello
L’agricoltura italiana, secondo il rapporto GreenItaly, è una delle migliori europee. Il valore aggiunto per ettaro (2.181 euro/ha) è infatti il triplo di quello britannico, il doppio dello spagnolo, quasi il doppio del francese e una volta e mezza quello tedesco. Stesso discorso per gli occupati nel settore (10,1 ogni 100 ha: tre volte Francia, Germania o Spagna e quasi sei volte Regno Unito). Buono anche l’aspetto della sicurezza: il “ settore agricolo italiano – si legge nel documento – vanta il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), inferiori di cinque volte a quelli della media europea e di 26 volte a quelli extracomunitari (7,9 per cento)”.
Simone Cosimi
fonte: wired.it
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