9 luglio 2013 – Mal di testa, pressione alta, memoria ‘nel pallone’, ma anche attacchi di panico, ansia, insonnia e problemi allo stomaco assillano l’esercito italiano dei lavoratori tecnostressati.
Quasi 2 mln di persone: networker (in genere consulenti, che usano almeno tre dispositivi mobili connessi per lavoro), lavoratori Ict, operatori di call center, commercialisti, giornalisti, pubblicitari e analisti finanziari. Ad analizzare i profili degli operatori che più spesso fanno i conti con il tecnostress è l’ultimo studio – anticipato dall’Adnkronos Salute – firmato da Enzo Di Frenna, presidente di Netdipendenza Onlus, che fa il punto sul fenomeno nel nuovo libro ‘Prevenzione tecnostress in azienda e sicurezza sul lavoro’.
Nei call center lavorano gli operatori di ‘contact center in outsourcing’: sono 80 mila in Italia e sono tra le categorie più esposte. Lo spiega bene nel libro il direttore generale di Assocontact, Alberto Zunino: “Attualmente stiamo portando avanti con Inail e altri interlocutori un progetto sul tema del rumore, che notoriamente è tra le problematiche che causano il tecnostress”. Altra categoria vulnerabile è quella delle imprese di information technology. “Il tecnostress – spiega nel volume Paolo Angelucci, presidente di Assinform, che rappresenta 1500 aziende del settore – si previene intervenendo sul carico di lavoro“. Altre soluzioni? Un’adeguata formazione per la prevenzione del rischio. Quest’anno, rispetto alla precedente ricerca di Netdipendenza, entrano nella ‘lista nera’ i commercialisti, stressati dall’uso eccessivo delle nuove tecnologie: dai software contabili che si aggiornano di continuo, alle scadenze fiscali impellenti che spesso si gestiscono con tablet e smartphone.
Lo conferma Mario Civetta, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Roma (10 mila iscritti): “I commercialisti sono tra le categorie maggiormente esposte ai rischio da tecnostress. L’aumento progressivo della pressione fiscale si è accompagnato, nell’arco di un decennio, a una iper-produzione di norme – su diversi livelli – ma soprattutto in materia fiscale. Il commercialista è chiamato a districarsi in questo labirinto normativo, assumendo decisioni delicate per conto del cliente-contribuente. Scelte che impegnano risorse economiche, in tempi rapidissimi e con scarse possibilità di rimediare ad errori. Negli ultimi anni l’intero campo di azione dei commercialisti è andato sempre più ad intersecarsi con sofisticati strumenti informatici. Lontani dall’epoca in cui le dichiarazioni dei redditi venivano compilate a mano, il lavoro è sempre più dipendente da software complessi, e in questo ambito l’interazione tra il fattore umano, sempre più decisivo, e i sistemi informatici è decisamente fonte di tecnostress”.
Situazione non migliore per i pubblicitari. “I pubblicitari vivono sempre connessi e la patologia del tecnostress è in agguato – spiega Mario Modica, direttore generale dell’Associazione italiana Pubblicitari professionisti (32 mila operatori) – A me capita spesso di dormire con il tablet e lo smartphone a portata di mano. Se arriva un messaggio, sono pronto a rispondere. E ciò, purtroppo, anche in orari extralavoro. La tecnologia ci segue ovunque, in molti casi favorisce la produttività, ma in altri c’è il rischio di assuefazione. Uno dei rischi principali è l’insonnia. Si dorme poco e con l’ansia di accontentare il cliente”.
Per ridurre l’impatto del tecnostress nei luoghi di lavoro c’è chi propone di rendere obbligatoria la ‘pausa digitale’. L’idea arriva da Orazio Carabini, vicedirettore del settimanale ‘L’Espresso’. Ma c’è anche chi consiglia di realizzare corsi di formazione per mettere a conoscenza i lavoratori digitali dei rischi. Nelle 320 pagine del libro di Di Frenna il tecnostress viene affrontato sotto il profilo scientifico, medico, psicologico e formativo. Un intero capitolo è dedicato alle soluzioni e ai consigli utili.
Tra le tecniche di prevenzione troviamo meditazione, yoga, erbe officinali, danzaterapia e sport. Ma anche la bioarchitettura, per imparare a organizzare ‘uffici rilassanti’. “Non a caso presentiamo queste ricerche a luglio – conclude Di Frenna – cioè nel periodo in cui si dovrebbe pensare alle ferie. Invece molti si portano il lavoro in vacanza, restando sempre connessi e col tablet e cellulare a portata di mano. In questo modo il cervello non riposa mai”.