di Walter Cavalieri – Tra qualche giorno, con la chiusura dell’anno scolastico, il problema del tempo libero (soprattutto quello dei giovani) tornerà a farsi cruciale. Da oltre quattro anni gli amministratori dell’Aquila sanno che la domanda proveniente da scolari e studenti è tesa ad ottenere nuovi luoghi di aggregazione attraenti e sicuri, alternativi ai centri commerciali.
Poco o nulla si è fatto in questo senso (lo stesso dicasi per gli insediamenti C.A.S.E.), col rischio che il degrado fisico della città accentui il degrado morale e viceversa, innescando un circolo vizioso che tocca ad esempio il suo apice negli atti vandalici compiuti di recente contro il patrimonio artistico.
In una città sempre più segnata da mille egoismi individuali, da immobilismo, assuefazione e illegalità, solo la costruzione di luoghi “belli” può rompere la spirale di abbrutimento e spingere i cittadini verso comportamenti virtuosi. L’iniziativa culturale è in proposito l’unica ancora di salvezza che possa offrire l’attuale “città di transizione”.
Mi permetto di porre qualche domanda all’assessore alla Cultura e di rivolgerle qualche suggerimento. Chiedo: cosa impedisce che si possano realizzare all’Aquila luoghi di aggregazione simili ai pub di Edimburgo o di Praga, nei quali si possa bere un bicchiere di birra e al contempo ascoltare musica dal vivo o guardare una mostra di quadri o di foto o assistere a performances di attori, e così via? E’ così difficile pensare un piano commerciale nel quale i gestori siano invitati a coniugare logiche di profitto con funzioni di tipo culturale? Non ricorda l’assessore che all’Aquila (nei lontani anni 70-80) abbiamo frequentato insieme locali per giovani come “Foto d’Epoca-Chez Nous” o “Sing Out”? E che in quei locali abbiamo conosciuto l’esordiente Carlo Verdone, il poeta americano Gregory Corso, le fotografie di Mauro Mattia e tanto altro ancora? E’ davvero inconcepibile poter coniugare divertimento e cultura, riposo e pensiero?
Credo che all’Aquila esistano enormi risorse umane per realizzare qualcosa del genere, soprattutto impiegando nei luoghi di intrattenimento le centinaia di giovani che fanno parte di gruppi musicali, che praticano le arti più diverse (dalla danza alla fotografia), che studiano nel Conservatorio musicale o nell’Accademia delle Belle Arti. Si dirà: e le risorse finanziarie? Rispondo consigliando di “smontare” una buona volta il bilancio della Perdonanza e convogliare le risorse a titolo di contributo e incentivo in favore dei gestori dei locali e degli artisti disponibili a esibirsi.
Basterebbe poco e avremmo una copertura “smart” di due-tre mesi in luogo di una insulsa kermesse che si esaurisce nel giro di una settimana scarsa senza dare risultati degni di nota. Senza contare che se la cultura venisse calata nei luoghi dove i giovani vivono, essa diverrebbe un’abitudine, un’esigenza, un valore aggiunto capace di intercettare le intelligenze e di produrre nelle nuove generazioni quei valori positivi indispensabili per la rinascita – non solo fisica – della città. [da Il Centro, 30.5.2013]
Walter Cavalieri