Più di 160 mila a Catania, 111 mila a Messina, 85 mila a Reggio Calabria. Ma in caso di terremoto le vittime sarebbero 7.000 a Roma e un migliaio a Milano. Allarmismo? No, i dati ufficiali di un rapporto-choc della Protezione Civile. Che punta il dito sulla scarsa prevenzione sismica e sui meccanismi degli eventuali soccorsi.
da espresso.repubblica.it – C’è un nemico sotto i nostri piedi pronto a colpirci in qualunque momento. Spendiamo decine di miliardi di euro per comprare aerei e missili da schierare contro eserciti fantasma. Ma dedichiamo pochi spiccioli per difenderci dall’unico attacco reale che in pochi secondi potrebbe uccidere decine di migliaia di italiani. “L’Espresso” ha potuto consultare la banca dati del dipartimento della Protezione civile con cui viene pianificata l’emergenza in caso di terremoto. Migliaia di schede riservate, aggiornate periodicamente e mai rese pubbliche. Una per ogni Comune con tutti i numeri necessari a valutare gli effetti di un sisma e predisporre così i soccorsi.
Numero di crolli, case inagibili, abitazioni danneggiate, percentuale dei crolli sul totale e così via. E poi c’è il fattore umano. Le stime sulle persone che in futuro potrebbero essere coinvolte, cioè il totale di morti e feriti nel caso di un forte terremoto, sono agghiaccianti.
161.829 a Catania Clicca qui per vedere L’ELENCO DI TUTTE LE CITTÀ |
Vanno poi sommati gli effetti nei paesi e nelle città vicine, aggravando così il bilancio del disastro. La prova evidente di quanto tempo l’Italia ha sprecato: non solo dalle scosse che proprio un anno fa hanno sconvolto parte dell’Emilia, o dalla tragedia dell’Aquila nel 2009, ma soprattutto dall’ultima grande catastrofe che ha raso al suolo l’Irpinia il 23 novembre 1980. Trentatré anni di calma buttati via.
ALLARME ROSSO. Sono pesanti le conseguenze se una di queste città venisse oggi colpita da un terremoto pari alla massima intensità già registrata localmente. Il rischio purtroppo non è solo ipotetico. Una rete di monitoraggio internazionale, alla quale partecipa il dipartimento di Matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, ha acceso un segnale d’allarme sull’Italia centrale e sul Meridione, in particolare sulla Calabria e la Sicilia orientale. Nel Centro, l’allerta è stata attivata dal novembre 2012. In Calabria e Sicilia dal gennaio 2012, dopo diciotto anni di silenzio del sottosuolo. La situazione viene valutata ogni due mesi in base all’attività sismica di fondo. E a marzo 2013 l’allarme degli scienziati per un forte terremoto era ancora in corso. Il dato corrente, aggiornato a inizio maggio, è tenuto segreto. Viene comunicato soltanto alle agenzie governative. Il gran numero di piccole scosse registrato in questi giorni proprio in Calabria e nell’Italia centrale dimostra comunque che la nuova energia che da qualche tempo attraversa la crosta terrestre tra l’Africa e l’Europa non si è dissipata.
IL PESO SUI CONTI. Viaggiare lungo l’Italia dei terremoti è un altro tuffo nel Paese delle occasioni perse. Secondo un rapporto dell’ufficio studi della Camera, dal 1968 al 2009 la gestione dell’emergenza e la ricostruzione in Italia sono costate 135 miliardi di euro, con valori monetari Istat attualizzati al 2008. Di questi, 92 miliardi sono stati stanziati dallo Stato. Gli effetti sui conti pubblici si sentono ancora. Per il terremoto del Belice in Sicilia (1968), gli impegni di spesa finanziati da leggi e decreti termineranno nel 2018. Per l’Irpinia (1980), nel 2020. Per le Marche e l’Umbria (1997), nel 2024. Per il Molise (2002), nel 2023. Per l’Abruzzo (2009), nel 2033. Soltanto per il Friuli (1976) il capitolo ricostruzione è stato definitivamente archiviato, ma gli stanziamenti hanno impegnato lo Stato fino al 2006. |
PREVENZIONE FANTASMA. Se confrontiamo il database riservato della Protezione civile con la media mondiale, finiamo direttamente tra i Paesi arretrati. Ipotizzando un sisma di magnitudo 7 nell’Appennino meridionale, intensità ritenuta possibile perché già registrata in passato, si prevedono fino a 11.000 morti e più di 15.000 feriti. La media mondiale per un sisma di quel livello si ferma a 6.500 morti e 20.500 feriti. In Giappone a 50 morti e 250 feriti. La grande differenza nei numeri tra Italia e Giappone è chiaramente dovuta alle tecniche di costruzione impiegate e agli investimenti nella prevenzione.
20 maggio 2013
di Fabrizio Gatti
fonte: http://espresso.repubblica.it