Il 20 maggio 2012 la prima di molte scosse colpiva l’Emilia Romagna. A 365 giorni, ecco tutti gli sforzi della popolazione.
di Elisabetta Tola – Centri storici riaperti e attività economiche riavviate. 365 giorni dopo il sisma che l’ha colpita, la Regione Emilia Romagna tira le somme e fa un bilancio, ampiamente documentato sul sito Web dedicato al terremoto. La sensazione, in generale, è che molto sia stato fatto, grazie alle tante donazioni, agli impegni economici di vari soggetti ma soprattutto alla determinazione e alla fortissima voglia di ripartire della popolazione emiliana. Tanto che la Regione si propone come case study per una gestione dignitosa e concreta di situazioni come questa dato che un piano generale, con regole precise per le emergenze, a maggio 2012 non esisteva. Le leggi per la ricostruzione e la definizione dei fondi per gli aiuti a famiglie e imprese sono state scritte ex novo dall’assemblea regionale assieme al governo nazionale e nuovi provvedimenti sono arrivati anche in queste settimane. L’ultimo, per esempio, è un decreto che proroga lo stato di emergenza al 31 dicembre 2014.
La prima, forte e dannosa scossa della lunga sequenza sismica emiliana è quella del 20 maggio 2012. Alle 4:03 del mattino, magnitudo 5,9, epicentro a Finale Emilia. Tremano i centri storici, crolla qualche edificio ma, soprattutto, crollano molti capannoni. Aperti e sfasciati come scatole di scarpe, dicono in tanti. E ci sono le prime vittime. Le scosse continuano, più o meno intense, nei giorni successivi. Poi la seconda giornata nera, quella del 29 maggio. E’ martedì mattina, e alle 9 un terremoto di magnitudo 5,8, con epicentro più a ovest, tra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro sorprende le persone già al lavoro, a scuola, per strada. I centri storici di 33 comuni tra Reggio Emilia, Modena, Ferrara e Bologna, la zona attorno agli epicentri detta area del cratere sono fortemente danneggiati. Le vittime, in tutto, sono 28, i feriti oltre 300. Gli sfollati 45mila, quasi 20mila famiglie.
Questa zona, il cosiddetto cuore dell’Emilia, non è solo densamente popolata (oltre mezzo milione di persone) ma è anche una delle più ricche del paese: produce circa il 2% del Pil nazionale. Nelle settimane successive molti di noi si sono resi conto di avere accanto a casa, pur senza saperlo, uno dei distretti biomedicali più avanzati al mondo, quello di Mirandola. Un sistema che non può fermarsi perché rischierebbe di lasciare senza forniture di strumenti specializzati gli ospedali di tutto il mondo.
Forse anche per questo, la reazione è rapidissima, anche se non propriamente ordinata nei primi tempi. Dal primo agosto, la gestione passa sotto la direzione del Commissario delegato alla ricostruzione, il presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani.
Migliaia di persone sono state ospitate in 36 campi di emergenza, chiusi però già in ottobre, grazie anche al Contributo di autonoma sistemazione (Cas) che sosteneva coloro che cercavano sistemazioni alternative. Alloggi in affitto e moduli prefabbricati urbani e rurali hanno permesso ai cittadini di queste zone, agli imprenditori rurali e agricoli, di rimanere vicini alle proprie attività, riducendo il grande danno economico. La legge regionale 16/2012 promuove la ricostruzione dei centri storiciattraverso una progettazione unitaria degli interventi. Qui non si vogliono new town come quelle fatte all’Aquila dopo il 2009. Quello che conta è mantenere integre le comunità, non distruggere il tessuto sociale, collettivo ed economico. E così, a un anno dal sisma, 16 zone rosse, impraticabili nei giorni delle scosse, sono nuovamente aperte. Per altre 6 sono state rese praticabili le strade. |
E in questi giorni, molti centri ospitano iniziative per raccontare il proprio terremoto. C’è un’edizione speciale della fiera Una città per me a Mirandola, due week end a fine maggio e inizio giugno di Caseifici aperti per dire grazie dove i produttori di Parmigiano, 37 aziende che avevano subito enormi perdite con oltre 600mila forme cadute, aprono le porte al pubblico. E c’è la mostra diffusa FacciamoNoi, organizzata dalle scuole all’interno del progetto di prevenzione del rischio sismico dell’Ingv EduRisk (cui partecipa anche chi scrive).
Con quali risorse si è rimessa in moto l’ Emilia? Con fondi speciali, per un totale di 2,5 miliardi di euro dallo Stato e di 670 milioni di euro dall’Unione europea. Altri contributi, che ammontano a circa 12 miliardi di euro, sotto forma di prestiti a fondo perduto o come prestiti agevolati, arrivano da varie Casse nazionali. Ci sono poi diversi contributi di solidarietà delle altre Regioni sui fondi europei, da fondazioni private e associazioni di categoria. Un dato rilevante è la donazione complessiva di oltre 37 milioni di euro raccolti attraverso i vari canali di sostegno, dagli sms alle donazioni ai concerti di solidarietà.
Per verificare come vengono spesi questi soldi, la Regione ha avviato, in collaborazione con diverse realtà della società civile, il sito OpenRicostruzione, che tiene traccia degli interventi, dei fondi, dei progetti realizzati.
E le scuole? Proprio dal terremoto dell’Emilia, un anno fa, Wired ha avviato una lunga inchiesta pubblicata in più puntate sul sito, la campagna #scuolesicure. Il nostro lavoro ha dimostrato che in Italia poco si è fatto, negli ultimi 10 anni, per verificare lo stato della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici e delle scuole in particolare. Neanche il 10% delle scuole italiane è stato controllato, meno di 3mila su oltre 42mila scuole pubbliche. Sappiamo, perché ce l’hanno detto i tecnici coinvolti anche se i dati non sono ancora pubblici, che le scuole emiliane erano state in gran parte controllate negli anni scorsi. E infatti, in almeno dieci casi, tra le scuole poi dichiarate inagibili le verifiche avevano effettivamente messo in luce una forte vulnerabilità. Il problema è sempre lo stesso: mancano i fondi per la messa in sicurezza. E così, con il sisma, queste scuole sono crollate. E ora il costo della ricostruzione è ben più alto. In totale le scuole danneggiate sono state 450. Con uno speciale Piano operativo scuole che ha raccolto 230 milioni di euro, quasi tutte sono state ristrutturate e riaperte entro l’inizio dell’anno scolastico, a ottobre 2012. 60 scuole invece sono state spostate in moduli temporanei prefabbricati o ospitate in altri edifici. All’Istituto tecnico geometri Aleotti di Ferrara, per esempio, c’è una quinta elementare.
L’ Emilia dunque è ripartita. C’è ancora tanto da fare, molti contributi stanziati non sono tuttora concretamente arrivati sui territori, il lavoro di ricostruzione è in corso. Ma il processo tutto sommato ha funzionato e forse, come si auspicano in Regione, può effettivamente rappresentare un modello efficace per gestire le emergenze. Perché in Italia, è bene ricordarlo sempre, i terremoti sono frequenti. La nostra è una terra che trema parecchio, come ci ricorda anche la nuova carta della sismicità pubblicata in questi giorni dall’Ingv: oltre 50mila terremoti con magnitudo superiore a 1,6 dal 2000 a oggi. Anche se i grandi terremoti, quelli che fanno male, sono stati tre: San Giuliano di Puglia, 2002; L’Aquila, 2009 e poi l’Emilia, 2012.
fonte: Wired.it
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