FINANCIAL TIMES: L’AQUILA E’ IL SIMBOLO DELLA STAGNAZIONE DELL’ITALIA

laquila_ftL’Aquila, 19 aprile 2013 – “Lost in stagnation, L’Aquila è il simbolo estremo della grande stagnazione dell’Italia”. Cosi’ il Financial Times che dedica una intera pagina alle sorti della città e al blocco della ricostruzione post terremoto.

Il quotidiano finanziario scrive di “una città distrutta e abbandonata che incarna la disperazione di una nazione paralizzata dalla politica e dal torpore economico” e che è simbolo di una “crisi di leadership politica ed economica di cui la classe politica ne è l’espressione”.

“Nonostante lo sfogo di dolore e di promesse, le strette di mano da parte dei leader nazionali, L’Aquila è diventata un monumento alla paralisi economica e politica in Italia. Piccole aziende edili hanno vinto gare per la ricostruzione, hanno iniziato i lavori e poi sono fallite quando lo Stato non è riuscito a pagarle – uno schema che si ripete in tutto il paese, con la Pubblica amministrazione deve € 100 miliardi di arretrati al settore privato”.

“Ma, come nel resto d’Italia – si legge sul FT – L’Aquila è ricca di soffocanti imposizioni burocratiche. Gian Antonio Stella, un giornalista noto per esporre lo spreco e la corruzione dell’ elite conosciuta come la ‘casta’, ha contato 1.109 leggi, direttive e ordinanze che si sono occupate della rinascita della città”.

Allargando lo sguardo oltre L’Aquila, si osserva la crisi sempre più profonda del Paese,  con “l’economia nel suo ottavo trimestre consecutivo di contrazione, la più lunga recessione dal dopoguerra”.

Negli ultimi dieci anni, “una serie di statistiche attestano lo scivolone dell’Italia. Nel campo dell’istruzione, l’Italia è scivolata giù nelle classifiche, solo la Grecia spende meno. Ai detenuti va anche peggio che agli studenti, con 140 stipati in celle comuni costruite per 100, leprigioni più sovraffollate d’Europa. Imballati ancora più stretti i pendolari sui treni, tra il più lenti del continente. Aprire un’attività? Secondo la Banca Mondiale costa molto di più avviare un’impresa in Italia che in Francia, in Germania o nel Regno Unito”.