PAUSA CAFFE’ AL LAVORO? ATTENTI, PUO’ LEGITTIMARE IL LICENZIAMENTO

caffe_lavoro29 marzo 2013 – Allontanarsi dal posto di lavoro per una pausa caffe’ puo’ legittimare il licenziamento del dipendente, soprattutto se questa pausa determina rallentamenti all’attivita’ lavorativa. Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione che ha dato ragione al Credito Emiliano nella causa di licenziamento di un impiegato di banca siciliano che il 27 novembre del ’97 aveva abbandonato il suo posto per andare al bar, incurante della presenza di ben quindici clienti in fila.
Varie le contestazioni avanzate dalla banca nei confronti di I.B., addetto alla cassa: oltre all’episodio del bar, avvenuto senza “apposito permesso”, il dipendente, il giorno prima, cioe’ il 26 novembre del ’97, si sarebbe allontanato dal posto di lavoro senza procedere alla chiusura della cassa.

E sei giorni prima, aveva sostanzialmente rifiutato un’operazione richiesta da un cliente e prevista da un manuale portato a conoscenza di tutti i dipendenti. Nel contestare il licenziamento, l’uomo ha ricordato anzitutto che rivestiva le funzioni di rappresentante sindacale aziendale e che, avendo gia’ promosso piu’ di un giudizio per la tutela dei suoi diritti, era di fatto finito nel mirino della banca.

A suo dire, in relazione alla mancata effettuazione di un’operazione richiesta da un cliente, non c’era la prova della consegna al lavoratore del manuale operativo. E l’allontanamento dal posto di lavoro del 26 novembre ’97 rientrava in una prassi aziendale che consentiva di farlo senza chiedere permessi. L’aver consumato un caffe’ al bar il giorno dopo, poi, “non avrebbe sortito alcun effetto sui quindici clienti in attesa, al massimo determinando un leggero ritardo nelle operazioni: in ogni caso operavano altre casse”.

La Cassazione, sul punto, e’ stata molto chiara: “La giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere apprezzata con riguardo non soltanto all’interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Ne’ il rigoroso rispetto delle regole di maneggio del denaro puo’ essere sostituito da non meglio specificate regole di buon senso, inidonee ad assicurare la conservazione del denaro della banca e dei clienti”.

Per i giudici della sezione lavoro, poi, “il fatto di non aver tenuto conto nella decisione impugnata che, al momento dell’allontanamento di I.B. per la pausa caffe’, operavano piu’ casse, non e’ decisivo perche’ la presenza di una pluralita’ di casse, delle quali non e’ detto se tutte in funzione, non esclude comunque che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila che comunque erano in numero cospicuo”.

Il dipendente licenziato del Credito Emiliano, hanno concluso i giudici della Suprema Corte, dovra’ pagare piu’ di 3500 euro di spese processuali. (AGI)