PICCOLE OPERE vs GRANDI OPERE. COSA È DAVVERO NECESSARIO AL PAESE E CHI CI GUADAGNA?

ponte-stretto-messinada HuffingtonPost.it – E se realizzare tante piccole opere come mettere in sicurezza aule di scuola, asili, ospedali o argini di fiumi, ricostruire centri storici, etc. fosse economicamente (e socialmente) molto più redditizio che concentrarsi su qualche grande opera faraonica e dannosa di cui si vedrà la fine venti-trent’anni?

Nonostante la crisi e i tagli, le grandi opere restano inspiegabilmente irrinunciabili. Eppure hanno quasi sempre forti impatti sul territorio e sulla popolazione, sono spesso di dubbia utilità o fattibilità. Costano vagonate di soldi. Senza tener conto che dove girano investimenti miliardari il rischio corruzione e infiltrazioni criminali è altissimo. E che dietro questi progetti ricorre sempre la stessa manciata di imprese: Cmc Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna, Salini, Impregilo…

In campagna elettorale del tema un po’ si è parlato. Ne ha parlato Grillo per mettere una pietra sopra il Tav, ne ha parlato il centrosinistra che certo non odia il Tav ma argomenta che un piano di piccole opere creerebbe occupazione.

Esaminiamo rapidamente alcuni dei mega progetti più discussi. Il Tav – Treno Alta Velocità in Val di Susa è forse il caso più conosciuto in Italia, la più costosa opera pubblica mai progettata nel nostro paese per 17 miliardi di spesa totale, che secondo le ultime stime sarebbero da raddoppiare, per un costo al centimetro che oscilla tra i 2.500 e i 5.000 euro.

Un’opera definita strategica nonostante il traffico merci sui trafori alpini sia sceso ai livelli di 20 anni prima e senza contare gli impatti sul territorio (un esempio su tutti i 18 milioni di metri cubi di materiale di risulta pieno di amianto e uranio scavato via dalle montagne per far posto alle gallerie).


Il Ponte sullo stretto è un fantasma, per ora accantonato, che gira per la penisola dal 1971 e che ha fatto già spendere circa 230 milioni di euro in studi e progettazioni, senza contare le penali che dovremo pagare. La spesa complessiva prevista era di 9 miliardi di euro, per un mirabolante ponte sospeso in una delle aree a più elevato rischio sismico del Mediterraneo.

Il Mose, (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) per la difesa di Venezia dalle acque alte, prevede la costruzione di 4 dighe mobili alle bocche di porto lagunari. I lavori sono al 70% ma le spese hanno già toccato i 5 miliardi, poco distanti dallo stanziamento complessivo di 5,4.

Un progetto che per l’Assemblea Permanente NoMOSE, costituisce una minaccia per l’equilibrio della laguna, al contrario degli interventi alternativi, a basso costo e a basso impatto ambientale come l’innalzamento dei fondali, che impedirebbe l’attraversamento della laguna alle immense navi da crociera alte 40 metri, e la costruzione di un porto galleggiante in mare aperto.

Altro caso che scotta è il gasdotto “Rete adriatica” Snam, che prevede di sistemare un tubo di 1 metro e 20 di diametro, lungo 700 km di percorso da Brindisi a Bologna, attraverso il territorio a più alto rischio sismico dell’Italia centrale e diverse aree protette, per un costo di 2 milioni di euro a km.

E ancora l’autostrada Pedemontana in Lombardia (che attraversa le provincia di Bergamo, Monza e Brianza, Milano, Como, Varese), l’Expo 2015, il corridoio Roma-Latina, il sistema di antenne militari No Muos a Niscemi, in Sicilia, e così via.

La somma dei soli costi dei progetti Mose, Tav e Ponte sullo stretto raggiunge quasi lo stanziamento di 40 miliardi, da spendere in 20 anni, previsti dal piano del Ministero dell’Ambiente per la messa in sicurezza del territorio nazionale (poi accantonato per mancanza di risorse).

A marzo scenderanno insieme in piazza diversi dei movimenti contro le grandi opere, declinando le singole battaglie in una vertenza nazionale in difesa dei territori e dei beni comuni. Il 16 marzo saranno a Messina, ospiti dei comitati No Ponte, per chiedere il recesso dei contratti siglati per il ponte senza il pagamento di penali. Il 23 marzo in Val di Susa contro il TAV, a cui questa volta hanno annunciato la partecipazione oltre 150 parlamentari del M5S. Il 30 marzo infine l’appuntamento è a Niscemi (Messina) contro il Muos, sistema d’antenne militari targate Usa ad alto inquinamento elettromagnetico.

Nel marzo 2012 è stata lanciata la proposta di per la costituzione di un Forum nazionale contro le grandi opere. Primi obiettivi: evitare la devastazione del territorio e denunciare che i fondi necessari a realizzare le mega infrastrutture sono sottratti ad altri interventi. Messa in sicurezza delle scuole e degli edifici pubblici, opere di risanamento ambientale e di riduzione del rischio geologico, sistemazione degli argini dei corsi d’acqua, interventi di restauro alle rete idrica e fignaria etc. Piccole opere di cui tutto il territorio ha urgente bisogno.

Poco prima delle elezioni sono stati diffusi a questo proposito due documenti importanti. Il Primo è il “Manifesto dei geologi italiani per la messa in sicurezza del nostro territorio” rivolto ai candidati, in cui si chiede la predisposizione di un piano di intervento e di opere strategiche di mitigazione del rischio.

Il secondo è una appello che arriva dall’Aquila, firmato da circa 40 organizzazioni, si chiama “Italia Fragile” e chiede impegno alla politica su quella che definiscono l’unica grande opera necessaria al Paese: la messa in sicurezza del territorio da eventi sismici e dissesti idrogeologici, attraverso lo stanziamento dei 40 miliardi previsti dal piano del Ministero dell’Ambiente e investendone altrettanti nella prevenzione del rischio sismico.


“Mai più come a Mirandola, mai più come a Giampilieri, mai più come a Sarno, mai più come a L’Aquila” si chiude l’appello. Da qui dovrebbero ripartire le priorità della politica.

Intervento di Marica Di Pierri alla trasmissione Zeta di Gad Lerner su La7 di venerdì scorso 1 marzo

Marica Di Pierri

Giornalista, attivista di A Sud e presidente del CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali