L’Aquila – «Ma e’… chiuso?» . E’ la domanda che mi rivolgono due donne in tuta, appena arrivate per usufruire delle struttura in una tranquilla serata d’estate. L’entrata è un po’ più avanti a sinistra, ma chi vi torna dopo il sisma è rimasto affezionato a quella vecchia, inesorabilmente chiusa e sbarrata.
Piazza d’Armi ha ospitato la più grande tendopoli dopo il sisma. Al centro di molti interessi, oggetto di campagne elettorali e vari progetti di riqualificazione, in pochi ne hanno compreso l’importanza sociale che avrebbe potuto avere nel post-sisma. Da subito, prima di approvare e realizzare un qualsiasi mega-maxi-masterplan relativo.
Dentro, per fortuna, poco è cambiato dopo lo smantellamento della tendopoli. Ecco la vecchia e cara pista di atletica. Una classica pista “di montagna”, con i suoi “sali e scendi”, buchette e rattoppi vari. Di quelle che ti aiutano a non strusciare le scarpette da footing, se non si vuol rischiare di inciampare, e che ti preparano alle gare più dure che potresti affrontare. Ah, gia’, c’è il mega-masterplan che cambiera’ tutto, e che rischia di trasformarla nella classica pista di atletica. Meglio godersela finché si può.
Uno spazio aperto, quello di Piazza d’Armi, adatto ai bambini più vivaci e curiosi. Nel prato, piccole montagne da scalare e ridiscendere, rigorosamente di corsa. Ai bordi della pista, oggetti anonimi che gli daranno fiducia in se stessi, confortandoli che i loro genitori ne sanno molto meno di quanto vogliono dargliela a credere. Nei dintorni, luoghi da esplorare e conquistare.
Terreno fertile anche per i paleontologi, Piazza d’Armi. Dai resti individuabili qui e la’, avrebbero materiale di studio in abbondanza per analizzare gli usi e costumi degli aquilani.
E cosa c’è di meglio di una panchina per godersi un meritato riposo dopo una salutare sudata, o per osservare in tranquillita’ i propri nipoti saltellare e scorrazzare sul prato. Non mancano, ed osservandole ti rendi conto che qualcosa di grave deve essere successo in questa citta’. Perché loro, una volta, ne erano il simbolo, orgoglio e vanto degli amministratori comunali. Alcuni, insieme a qualche fioriera, ne avrebbero potuto fare il nuovo simbolo dell’Aquila. Oggi sono lì, abbandonate da tutti, occupati in strafichissimi masterplan che prima o poi dimostreranno come le capacita’ umane possano subire un’evoluzione accelerata in poco più di 2 anni.
Isolate, attendono inermi che qualcuno ogni tanto passi a fare pulizia e renda più accogliente uno spazio che potrebbe essere così utile alla cittadinanza.
Non ci vuole molto, solo una buona e ordinaria gestione della cosa pubblica.
di Patrizio Trapasso
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