Nel primo semestre 2010 per quattro coppie su dieci il matrimonio si e’ concluso in tribunale, e per la maggior parte dei casi si è trattato di separazioni consensuali. Ma stavolta in tribunale arrivano i diritti dei genitori e dei figli, e in particolare i diritti ad un alloggio che ne possa consentire una vita familiare adeguata, a seguito di una catastrofe naturale come quella del terremoto del 6 aprile 2009.
Il ricorrente, padre di due figli di cui ha l’affidamento condiviso con la moglie, da cui è separato, ha un’abitazione inagibile a causa del sisma, in cui viveva dopo la separazione, dotata di due camere da letto per soddisfare le esigenze dei figli.
A seguito della relativa richiesta, in cui veniva evidenziava la situazione familiare, otteneva dal Sindaco di L’Aquila l’assegnazione di un alloggio nel progetto CASE dotato di due camere doppie. Nel provvedimento si dava atto che il nucleo familiare era costituito da tre componenti.
Lasciato un appartamento ad Avezzano, citta’ in cui lavora, affittato dopo il sisma e con 2 camere da letto, il ricorrente si trasferiva a L’Aquila nell’alloggio assegnato, di cui veniva successivamente autorizzato lo scambio con altro più piccolo e dotato di una camera singola e due doppie. Assegnazione che la SGE (Struttura per la Gestione dell’Emergenza) a posteriori decide di cambiare, ritenendo che il nucleo familiare sia composto da un solo membro, sul presupposto che i figli fossero dimoranti con la madre (la separazione in tribunale indicava che i minori avrebbero trascorso con il padre due pomeriggi a settimana e un week end a settimane alterne).
Ma il ricorrente, che intende far valere i propri diritti di padre, non crede che il trasferimento in alloggio con un’unica camera da letto sia accettabile, per l’impossibilita’ di ospitare adeguatamente i figli. Da cui deriva il ricorso al Tar per la revoca del provvedimento, che con sentenza depositata il 9 giugno 2011 (Presidente Cesare Mastrocola, consiglieri Paolo Passoni e Alberto Tramaglini) accoglie il ricorso annullando l’atto impugnato.
“E’ infatti da ritenere che le esigenze connesse alla funzione genitoriale implichino” – si legge nella sentenza – “che l’alloggio in cui il padre vive sia dotato di una stanza di cui i figli (anche tenuto conto della loro eta’, 10 e 15 anni) possano disporre nei periodi di convivenza e dove siano conservati i loro effetti personali anche quando fanno ritorno dalla madre, il che conduce a ritenere che si tratti di una necessita’ continuativa, priva di quel carattere di occasionalita’ rispetto alla quale potrebbe essere sufficiente la predisposizione di un semplice divano letto, e conclusivamente che il nucleo familiare in parola debba ritenersi stabilmente composto da tre persone.”
Nella sentenza, tra l’altro, come gia’ in altra precedente, il Tar ricorda come “trattandosi d’altra parte di atto di auto-annullamento, ogni competenza in proposito non poteva che radicarsi in capo all’amministrazione che aveva assunto l’atto di assegnazione, e quindi nel sindaco del Comune di L’Aquila a cui compete l’adozione degli atti di assegnazione ex art. 11 D.L. 39 del 2009.”
Ineccepibile il Tar, complimenti al genitore che non vuole rinunciare ai suoi diritti/doveri di padre.
Da Sge e Comune attendiamo ora gli opportuni riscontri. Dalla prima, che ritenga inutile impugnare la sentenza al Consiglio di Stato, e che comprenda che in casi analoghi al presente non si possono considerare i figli come semplici “ospiti”. Dal secondo, ovvero dal Sindaco, che si faccia carico delle esigenze abitative degli sfollati. La Sge sembra acconsentire, insieme al Commissario delegato Gianni Chiodi. E non serve a niente trincerarsi dietro ordinanze e direttive non adeguate, spesso scritte o approvate proprio con il consenso comunale.
di Patrizio Trapasso