A L’Aquila la concentrazione di ingenti risorse finanziarie (790 milioni di euro) per ospitare tra i 15.000 e i 20.000 senzatetto e’ stata una scelta troppo onerosa per le risorse pubbliche
Articolo da IlMattino del 14 ottobre 2010 (di Alessio Fanuzzi)
Trent’anni dopo e’ tutto raccolto in un dossier. Numeri, tempi, spese, finanche sprechi. Tutto quello che c’e’ da sapere sul terremoto che il 23 novembre del 1980 scosse l’Irpinia e sconvolse la Campania e’ scritto nel rapporto di Stefano Ventura voluto dall’Osservatorio sul doposisma della Fondazione Mida.
Si chiama «Trent’anni di terremoti italiani» ed e’ uno studio comparativo sulla gestione delle emergenze in Italia.
Con tanti spunti curiosi: ad esempio, a fronte di una spesa procapite per senzatetto che a L’Aquila ha sfiorato quota 24.000 euro, in Campania furono spesi solo 7.889 euro a persona. Sulle cifre, però, incide il numero di senzatetto, di gran lunga superiore in Irpinia: 400.000 contro 67.459 ventiquattro ore dopo il terremoto, 280.000 contro 65.704 sette giorni dopo. In termini assoluti, infatti, per la Campania sono stati spesi più fondi: 6,627 miliardi nei tre anni di gestione commissariale, 2,29 miliardi all’anno contro i 1,715 miliardi spesi per l’Abruzzo. Trent’anni, avellinese di Teora trapiantato a Siena, dov’e’ dottore di ricerca in storia contemporanea, Ventura studia da anni gli effetti del terremoto in Irpinia e la ricostruzione.
A breve debuttera’ anche in libreria con un libro edito da Mephite – «Non sembrava novembre quella sera» – e dedicato alla sua terra. «Nel primo anno dopo il sisma – spiega – gli sprechi furono molto limitati. Fu negli anni successivi che aumentarono le pressioni per l’allargamento dell’area del cratere e, di conseguenza, per l’ampliamento dei comuni inseriti nelle fasce di danno fino a 684». La ricerca di fondi extra, però, non fu solo una prerogativa campana se e’ vero che anche il Molise, dopo il sisma con epicentro San Giuliano di Puglia nel 2002, «allargò le ipotesi di sviluppo per ricevere dal governo fondi senza collegamento diretto con il terremoto».
Nel calcolo delle spese e, soprattutto, dei tempi di intervento incidono tanto anche le nuove tecnologie. «Passare dalle dodici ore che i soccorsi impiegarono per raggiungere alcuni paesi della Campania ai tre minuti necessari a dare l’allerta nella notte del 6 aprile 2009 e’ senza dubbio un risultato positivo del cammino della Protezione civile che nel 1980 neanche esisteva», sentenzia Ventura. E ancora, «il progetto del piano CASE in Abruzzo – continua – era gia’ a disposizione del dipartimento della Protezione civile e del governo prima del sisma che ha devastato L’Aquila tanto che, a diciassette giorni dalle prime scosse, era gia’ stato proposto come possibile soluzione».
In Irpinia non c’erano né piani né programmi e tutta la ricostruzione fu dovuta in gran parte all’operativita’ del commissario Giuseppe Zamberletti che, sulla scia dell’ esperienza acquisita in Friuli, dispose gia’ dal 26 novembre di arretrare molti senzatetto sulla costa. Un progetto naufragato ben presto e sostituito con il piano di prefabbricazione leggera e pesante che portò poi all’ installazione di 7.384 containers e alla programmazione definitiva del giugno 1981. «Quattro diverse filosofie di intervento per quattro catastrofi», osserva Ventura.
Se in Campania furono montati containers, in Umbria (1997) si scelse di riparare prima il patrimonio meno danneggiato, in Molise furono usati gli alberghi della costiera e in Abruzzo si e’ passati dalle tende al piano CASE. «Dopo il terremoto in Irpinia – analizza il ricercatore di Teora – c’ e’ stato un capovolgimento quasi totale di paradigma, passando da una delega pressoché totale alle regioni e ai comuni a una gestione affidata al commissariato guidato dal capo dipartimento Guido Bertolaso per tutta l’ emergenza». Con qualche criticita’ di troppo. «La concentrazione di ingenti risorse finanziarie (790 milioni di euro) per ospitare tra i 15.000 e i 20.000 senzatetto – chiosa Ventura – e’ stata una scelta troppo onerosa per le risorse pubbliche se paragonata alle gestioni degli insediamenti provvisori che pure sono stati necessari anche in Abruzzo»