A DUE ANNI DAL TERREMOTO, QUANTE ALTRE EMILIA?

mappa_pericolosita_sismica_in_italiaNel secondo anniversario del terremoto in Emilia, continua la cronaca dei numeri. Quelli presentati venerdì scorso in conferenza stampa dal presidente della Regione Vasco Errani e che raccontano la ricostruzione4 miliardi di euro messi già in campo (cui vanno sommati anche 726 milioni di prestiti senza interessi per permettere alle imprese di pagare le tasse). Per arrivare in fondo, però, manca ancora un miliardo, per il quale lo stesso Errani ha promesso di impegnarsi a fondo nei prossimi mesi che, da questo punto di vista, potrebbero essere decisivi.

Nei 14 mesi in cui effettivamente si è lavorato alla ricostruzione si sono spesi 23 milioni di euro per la rimozione di 595mila tonnellate di macerie in 1.764 cantieri (oggi 1.562 sono chiusi). Le domande di ricostruzione presentate sono state 6.345, ma gli edifici residenziali danneggiati sono stati oltre 14mila, accanto a 13mila attività economiche. Dei 977 Moduli abitativi prefabbricati (Map) allestiti nelle aree più colpite sotto il profilo dei danni, oggi ne risultano ancora occupati 820: 200 sono in zone rurali e ospitano 600 persone; 620 in zone urbane, per 2000 ospiti.

In ambito di edilizia pubblica, gli interventi ammontano a 500 milioni per le opere provvisorie per rimettere in condizione di funzionare 12 sedi comunali, ospedali e strutture sociosanitarie. Le scuole colpite, di cui si è molto detto e scritto su Wired, sono state 570, per un totale di oltre 70mila studenti. Secondo le informazioni della Regione Emilia-Romagna, “in pochi mesi sono state riparate le scuole in B e C e costruiti 30 Edifici scolastici temporanei (Est), 32 Prefabbricati modulari scolastici (Pms) e 26 palestre scolastiche”. Ma anche qui siamo lontani dalla normalità e la situazione si risolverà solamente negli anni.

C’è l’analisi scientifica di quello che è successo dal punto di vista puramente sismologico. Una coppia di forti terremoti come quelli che hanno colpito l’Emilia il 20 e 29 maggio di due anni fa generano una enorme quantità di dati scientifici. Accade perché il territorio che ne è vittima è un territorio monitorato da sistemi di raccolta dati. Che forniscono dati accelerometrici dettagliatissimi, ovvero (semplificando) come si sono propagate le onde sismiche, ma anche come si sono comportate a seconda dei diversi tipi di terreno che attraversavano. Sono stati raccolti dati sulla di liquefazione del suolo, fenomeno raro da osservare in Italia. A questi si devono aggiungere le informazioni sulle fratture superficiali e il comportamento della acque. Insomma: si stanno solo ora cominciando a vedere i primi studi scientifici sugli eventi del 2012 e saranno frutto di un patrimonio straordinario di informazioni raccolto e analizzato dai ricercatori.

C’è anche stata una discussione molto vivace all’interno della stessa comunità scientifica, che verteva sull’accuratezza della mappa di pericolosità sismica nazionale. “La mappa è risultata adeguata”, spiega il sismologo dell’Ingv Romano Camassi, “i valori numerici sono corretti se moltiplicati per il coefficiente previsto dai terreni di tipo sabbioso come quelli delle zone colpite”. La mappa che dal 2003 classifica la aree emiliane terremotate come zone sismiche non è, insomma, un problema. E poi c’è la discussione ancora aperta su quanto le estrazioni petrolifere possano essere legate ai sismi di due anni fa.

La grande domanda che rimane però sul piatto a due anni dalle scosse che hanno distrutto Finale EmiliaMedollaSan Felice sul Panaro e gli altri comuni della Bassa è però di tipo extra-scientifico e prescinde anche dalle polemiche sui rimborsi e le agevolazioni per la ricostruzione. Quante altre zone d’Italia sono percepite come sicure dal punto di vista del rischio sismico, come lo era l’Emilia del 2012?

Il problema nasce, almeno in parte, dalla complessa vicenda normativa che riguarda proprio la mappa di pericolosità. I dati che la determinano “erano già noti dalla seconda metà degli anni Novanta”, racconta Camassi. Ma solo nel 2003, in seguito al terremoto di San Giuliano di Puglia è seguita la classificazione di tutti i comuni italiani secondo la mappa di pericolosità. “Peccato che la normativa tecnica sia entrata in vigore nel 2009”, sottolinea Camassi. Ancora una volta dopo un terremoto che ha shockato l’Italia, quello dell’Abruzzo. C’è stato cioè un periodo lungo in cui molte zone erano classificate come sismiche, ma non avevano il vincolo amministrativo di costruire secondo criteri antisismici. Qui c’è stata la più grande latitanza della società italiana tutta: politica, civile, professionale. E oggi ci si deve chiedere quante altre Emilie potranno ancora succedere.

fonte: wired.it