I terremoti possono realmente aprire la crosta terrestre in due, proprio come nei film catastrofistici. Nuovi studi svelano meccanismi finora sconosciuti, che possono spiegare la forza distruttiva di alcuni sismi.
È una scena tipica dei film di genere catastrofista apocalittico: la madre di tutti i terremoti apre enormi fessure nella crosta terrestre, dove vengono inghiottiti grattacieli, treni, intere città.
Sono le immagini di una “Terra con la bocca aperta”, da sempre considerate dai geologi pura fantascienza.
Se però le ricerche sperimentali del Caltech verranno confermate, gli studiosi dovranno ricredersi.
Il lavoro, pubblicato sul Nature (abstract, in inglese), mostra come la Terra possa realmente aprirsi in spaventose voragini (salvo poi richiudersi rapidamente) sulla spinta di terremoti causati da faglie inverse.
FAGLIE INVERSE. Si tratta di fratture con una superficie inclinata: la crosta di una delle parti a contatto con la frattura si muove verso l’alto, lungo il piano della frattura stessa (vedi disegno qui a fianco).
Questo tipo di movimento è causato da un compressione, quando un blocco di crosta terrestre spinge contro un altro blocco. Situazioni che sono all’origine di alcuni tra i più grandi terremoti al mondo, come quello che colpì la regione di Tohoku (Giappone) nel 2011 e che causò un forte maremoto – che distrusse anche una parte della centrale nucleare di Fukushima.
RESINE HI-TECH COME LA TERRA. Il gruppo di ricercatori ha dimostrato come il movimento di faglie inverse può provocare un’apertura nella crosta terrestre dando origine a “bocche” che possono raggiungere anche un paio di metri di diametro di apertura e che si chiudono molto velocemente. Queste voragini si formano perché i due blocchi possono scivolare anche di 50 metri uno sull’altro, e non solo di pochi metri, come si pensava.
«L’idea finora dominante si basa su modelli matematici computerizzati di terremoti, ai quali si “impone” un moto tale per cui le pareti delle faglie non possono separarsi una dall’altra», spiega Ares Rosakis, uno degli autori dello studio: «se invece si utilizzano modelli più complessi e realistici ci si accorge di quanto i risultati siano diversi.»
Per mettere alla prova il nuovo modello digitale, il team del Caltech ha costruito un modello trasparente, realizzato con particolari resine birifrangenti che rendono possibile determinare la distribuzione delle tensioni grazie al metodo della fotoelasticità: permettono cioè di vedere il percorso della luce attraverso di essi (e perciò le deviazioni prodotte da rotture e fratture).
Il modello, realizzato con caratteristiche adeguate a emulare le proprietà della roccia e caratterizzato da una struttura simile a una faglia inversa, è stato poi sottoposto a pressioni analoghe a quelle che abbiamo in natura.
Nel punto in cui, secondo i calcoli, si sarebbe dovuto avere l’epicentro del terremoto era posto una sorta di fusibile che, al crescere della pressione, a un certo punto si è rotto: utilizzando macchine fotografiche ad alta velocità sono state osservate le variazioni delle linee cromatiche della luce attraverso il materiale, interpretate come movimenti di faglia.
UN ISTANTE DI CATASTROFE. «Ripetuti esperimenti», spiega Hiroo Kanamori, del team di ricerca, «non lasciano dubbi sul fatto che nell’istante che scatena il terremoto i due “blocchi di faglia”, di plastica nel nostro modello, si allontanano tra loro per poi richiudersi improvvisamente.»
Nella realtà si potrebbe dunque effettivamente aprire una voragine di dimensioni tali da inghiottire auto e persone, e nulla vieta che possa accadere anche sui fondali oceanici: proprio questa ipotesi è quella che meglio potrà aiutare a capire come si formano gli tsunami.
fonte: Focus