Appena avvertita la scossa di terremoto di magnitudo 5.2 che venerdì 21 giugno ha colpito la Lunigiana orientale, il primo pensiero di chi si occupa professionalmente di terremoti è stato quello di un disastro che poteva aver provocato molti crolli e quindi probabilmente anche vittime. La magnitudo 5.2 di per sé non è una magnitudo elevatissima (in Italia si sono avuti storicamente eventi che hanno superato magnitudo 7, ultimi tra questi il terremoto di Reggio Calabria-Messina del 1908 e quello di Avezzano del 1915) ed è stata frequentemente rilevata: dal 1900 a oggi sono oltre 150 le scosse di magnitudo pari o uguale a 5.2 verificatesi nel territorio nazionale.
Abbiamo però un record negativo nel nostro paese: una elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio, vale a dire una scarsa capacità di resistere ai terremoti. Le ragioni di questa fragilità sono molteplici: sicuramente un’età elevata delle nostre case, probabilmente gli effetti degli anni di boom economico durante i quali si è costruito senza guardare troppo per il sottile, sicuramente una scarsa tradizione nella progettazione di edifici con criteri antisismici. Fino agli anni ’80 una zona veniva dichiarata sismica solo dopo che vi si era verificato un forte terremoto e conseguentemente diventava obbligatorio adottare le norme antisismiche del momento nella progettazione del nuovo, ma nessun vincolo particolare era imposto sugli edifici esistenti.
Se consideriamo che oltre l’80% delle abitazioni in Italia è stato costruito prima del 1981 (periodo in cui venivano promulgate norme antisismiche più moderne ed efficaci di quelle precedenti), si capisce che il numero di abitazioni private progettate secondo tali norme è molto ristretto (stima basata sui dati del Censimento ISTAT 2001).
Senza voler entrare ora nella questione che oltre a progettare bene bisogna costruire bene ed eseguire una corretta manutenzione dell’edificio, si capiscono alcuni dei motivi per cui il nostro patrimonio edilizio sia così fragile. La dimostrazione sta nella figura a fianco.
Per eventi di magnitudo minore di 5 avvenuti dal 1950 a oggi si sono verificati danni in molte località, in tutte le regioni d’Italia, tranne la Sardegna. Questa è la situazione (tragica) del nostro paese e da qui bisogna partire. Ecco perché c’era il timore molto forte che anche il terremoto del 21 giugno potesse avere prodotto danni e vittime.
A quanto è invece dato possibile constatare in questo momento (vale a dire quando la sequenza sismica è ancora in atto e altre scosse importanti potrebbero ancora verificarsi, andando a modificare in peggio la situazione), sembrerebbe che gli effetti di questo terremoto siano molto minori di quelli che ci si poteva immaginare. Da fonti giornalistiche si parla di circa 500 case inagibili. Sia chiaro che per il singolo cittadino che ha avuto la casa lesionata e resa inagibile non esiste tragedia peggiore, ma se si guarda ai grandi numeri sembra di poter dire che è andata relativamente bene, sicuramente meglio che in altri casi analoghi. A titolo di esempio si ricorda che il terremoto che il 24 novembre 2004 ha colpito l’area di Salò, di magnitudo comparabile con quella del 21 giugno, ha prodotto danni per 200 milioni di euro e reso inagibili oltre 3700 abitazioni. Certo quell’area del Lago di Garda ha una densità abitativa diversa da quella della Lunigiana, ma in ogni caso il danneggiamento del 2004 è di almeno un ordine di grandezza superiore a quello che sembra essersi prodotto nei comuni della Lunigiana orientale.
Quale può essere allora l’interpretazione del danneggiamento decisamente minore di quello che era presumibile attendersi?
Una ragione va sicuramente ricercata nel fatto che questa regione subisce terremoti di media magnitudo frequentemente. Se consideriamo i soli eventi con magnitudo maggiore di 5 verificatisi nelle province di Massa e di Lucca, sono almeno 15 i terremoti riportati dal catalogo storico CPTI11, a partire dal 1481, prima della scossa del 21 giugno. Per la sola località di Fivizzano le informazioni macrosismiche disponibili dicono che almeno 10 volte si è raggiunta la soglia del danno. E’ quindi legittimo pensare che le ricostruzioni e le riparazioni succedutesi nel tempo abbiamo portato ad una riduzione della vulnerabilità degli edifici di questa area. Non va però scordata l’azione di riduzione del rischio sismico intrapresa negli anni dalla Regione Toscana, che oggi sembra dare i primi frutti.
Si tratta di una storia che merita di essere raccontata.
Il terremoto dell’Irpinia-Basilicata del 1980 colse tutte le amministrazioni regionali (che erano nate da soli 10 anni) impreparate rispetto alle tematiche del rischio sismico. Molte Regioni iniziarono allora un percorso per l’istituzione di appositi uffici e la creazione di professionalità dedicate a questo tema. Ogni Regione si mosse in ordine sparso; la Toscana in particolare ha sempre mostrato una sensibilità ed una attenzione particolare per il rischio sismico sul proprio territorio. Se si provasse a fare l’elenco di tutte le iniziative realizzate in ormai più di 30 anni, impiegheremmo molto tempo: iniziative di studio, di ricerca, di intervento sugli edifici pubblici e privati, di educazione, di divulgazione e molto altro. Non si è trattato solo di un’operazione culturale importante, ma anche di investimenti economici significativi. Ma proprio perché si è trattato di un’operazione anche e soprattutto culturale, merita di ricordare quanto avvenne dopo il terremoto di Fivizzano del 1995.
Il 10 ottobre 1995 una forte scossa di magnitudo 4.9 fu avvertita in gran parte della Toscana settentrionale e del Nord Italia. In 11 località si verificarono danni classificati tra il VI e il VII grado della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). Finita la sequenza e il censimento dei danni, iniziò la fase di ricostruzione o di riparazioni degli edifici danneggiati. Nacque allora l’idea di fare qualcosa di più nella direzione della riduzione del rischi sismico e in particolare di finanziare i privati. Dalla sinergia tra Dipartimento della Protezione Civile (allora diretto dal prof. Franco Barberi), Regione Toscana (presidente allora era Vannino Chiti, responsabile del Servizio Sismico Regionale l’arch. Maurizio Ferrini) e il mondo della ricerca (in particolare in questa circostanza partecipò il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti – GNDT – del CNR, poi confluito nell’INGV), fu realizzato uno studio sul rischio sismico dei comuni della Toscana. Il Dipartimento e la Regione Toscana misero a disposizione 4 miliardi di lire ciascuno da destinare al miglioramento antisismico degli edifici privati, attraverso un finanziamento a fondo perduto, da concentrare in tutti quei comuni che risultavano in testa nella graduatoria del rischio sismico.
La Legge Regionale 56 del 30 luglio 1997 è la prima legge sulla prevenzione sismica in Italia: prevede per l’appunto finanziamenti per i privati, la realizzazione di indagini di microzonazione sismica, indagini sui materiali degli edifici scolastici, verifiche sismiche su edifici pubblici, rete sismica e geodetica, informazione alla popolazione ed alle scuole. Su queste attività dal 1997 la Regione Toscana investirà 8 miliardi.
Questa figura riporta uno dei grafici che accompagnavano la relazione scientifica firmata da ricercatori del GNDT. Era la stima del rischio sismico in tutti i comuni toscani espresso come costo del primo danno atteso, vale a dire il costo per ripristinare gli edifici danneggiati dal primo terremoto che sarebbe avvenuto, stimato per vari valori medi di vulnerabilità. Si nota che la graduatoria era guidata da Casola in Lunigiana e da Fivizzano; in ogni caso i comuni di Lunigiana, Garfagnana e Media Valle del Serchio guidavano questa triste graduatoria. I finanziamenti, per quanto esigui rispetto al numero di edifici esistenti nell’area, furono sufficienti a incentivare molte famiglie a richiederli e a fare interventi nelle proprie abitazioni. La cifra erogata (20 milioni di lire per famiglia) permetteva di fare interventi per la messa in posa di catene che hanno la funzione di garantire il collegamento delle murature fra loro e tra i solai durante un terremoto e di fatto sono l’intervento con il miglior rapporto costo-benefici, in quanto incrementano sensibilmente il comportamento sismico dell’edificio.
Non solo molte famiglie utilizzarono il finanziamento, ma si verificò un processo virtuoso grazie al quale diverse imprese medio-piccole della zona si dotarono di macchinari (per esempio microcarotieri) che agevolassero il loro compito e acquisirono in questo modo un know-how che ancora oggi possono utilizzare. Anche altre attività artigianali hanno beneficiato di questi investimenti, dal momento che le catene sono state realizzate dai fabbri della zona e i falegnami hanno costruito i tetti in legno. Insieme agli interventi sugli edifici, una serie di iniziative di informazione e aggiornamento tecnico ha contribuito a modificare le abitudini costruttive dell’area andando verso una generalizzata riduzione del rischio sismico. A titolo di esempio si può citare l’abbandono della realizzazione di pesanti coperture degli edifici con cordoli in cemento armato che appesantiscono inutilmente, anzi peggiorano la resistenza degli edifici sotto l’azione sismica.
Anche gli interventi sugli edifici pubblici e in particolare sulla messa in sicurezza sulle scuole hanno avuto un’attenzione adeguata, visto che tutte le scuole dell’area sono state adeguate o sostituite con nuovi edifici scolastici e la popolazione ha trovato ricovero nella notte del terremoto ed in quelle successive e persino gli esami di maturità si sono svolti regolarmente. E’ ancora presto per giungere a conclusioni definitive, ma sembra di poter dire che abbiamo la prova provata che gli interventi di prevenzione antisismica producono effetti positivi: è la prima volta, infatti, che un terremoto forte colpisce un’area nella quale sono stati fatti interventi preventivi, gli edifici che hanno usufruito di questi interventi di miglioramento antisismico paiono non avere subito danni e non possiamo non pensare che è anche grazie a questa politica seria di gestione e tutela del territorio e del costruito che lo scenario prodotto dal terremoto del 21 giugno sia risultato molto migliore di quanto fosse possibile immaginare. |
Carlo Meletti – Centro di Pericolosità Sismica INGV
fonte: http://ingvterremoti.wordpress.com/2013/07/12/la-prevenzione-paga/