La scossa di 4.5 Richter al largo di Ravenna avvenuta alle ore 6,08 del 6 giugno non può considerarsi come facente parte della sequenza emiliana circoscritta alle coltri appenniche più superficiali, ma riguarda piuttosto una deformazione interna della microplacca Adriatica più a est. Lo precisa il sismologo Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica (Ingv).
STRUMENTI – Quali strumenti e metodi stanno usando i sismologi per individuare e descrivere le strutture geologiche responsabili della sequenza sismica emiliana; per valutare le dinamiche in atto, le energie già rilasciate e quelle che potrebbero essere liberate in futuro? Anche se il fenomeno é iniziato da oltre due settimane (20 maggio), un tempo purtroppo lungo per chi lo subisce, ma brevissimo se confrontato alle maggiori sequenze sismiche italiane, che solitamente durano mesi o anni, emergono già alcune certezze e ipotesi ben fondate. Eccone una succinta rassegna.
COMPRESSIONE – La prima certezza riguarda il movimento di compressione che si esercita lungo una direttrice nord-sud, facendo scattare, a ripetizione, un complesso sistema di faglie o fratture della crosta terrestre con orientamento est-ovest. Ne fanno le spese le località che si trovano in una fascia di una cinquantina di chilometri, geograficamente compresa fra Ferrara e Carpi, lambendo la provincia di Reggio Emilia. «Che il meccanismo di compressione si eserciti approssimativamente da sud a nord e i piani delle faglie siano orientati est-ovest, ce lo certificano i cosiddetti meccanismi focali che abbiamo determinato per tutte le scosse superiori alle magnitudo 3.5», spiega Amato.
ANALISI – «In pratica, partendo dall’analisi del sismogramma di una scossa, siamo in grado di calcolare l’orientazione e lo scorrimento del piano della faglia, dandone anche un’efficace rappresentazione grafica attraverso mappe con simboli chiamati ‘palloni da spiaggia’. In questo caso ogni scossa è raffigurata con un pallone avente uno spicchio nero al centro e due bianchi, uno sopra e l’altro sotto, che stanno a indicare il movimento compressivo nord-sud. Gli apici degli spicchi in direzione est-ovest rispecchiano l’orientazione dei piani di faglia, i quali, piuttosto che scendere giù in verticale, appaiono inclinati. Da altre misure sembra che l’inclinazione dei piani di faglia sia verso sud. Per completare il quadro dinamico», aggiunge Amato, «utilizziamo i dati di accelerazione del suolo, rilevati da apposite reti; poi le immagini dall’alto ottenute con l’interferometria radar che evidenzia le deformazioni; e i vettori dei lenti spostamenti del suolo forniti dalle rete delle stazioni fisse collegate ai satelliti Gps».
RISULTATI – Grazie a tutta questa somma di rilevamenti recenti e storici si può affermare che la crisi sismica emiliana è il risultato locale del movimento su grande scala esercitato dalla microplacca Adriatica (un’appendice della placca Africana) che s’immerge sotto l’Appennino settentrionale, spingendolo contro la pianura Padana e facendolo inarcare. Sempre a partire dall’analisi delle registrazioni sismiche è possibile determinare, con grande precisione, la zona di origine di ogni rottura di faglia (ipocentro) e la sua controparte superficiale (epicentro).
SPOSTAMENTI – «Dalla sequenza di scosse abbiamo visto che, a partire dal 20 maggio, data di inizio della sequenza a San Felice con la scossa da 5.9, prima c’è stato un piccolo spostamento degli epicentri verso est, poi un ritorno all’origine; quindi, dalla scossa di magnitudo 5.8 del 29 maggio, uno spostamento verso ovest», riassume Amato. «Ma si tratta, finora, di modeste oscillazioni. Niente a che vedere con le notevoli migrazioni degli epicentri rilevate nel corso delle lunghe sequenze sismiche umbro-marchigiana del 1997-1998 e aquilana del 2009-2010; per altro, entrambe caratterizzate da una dinamica distensiva, cioè di segno opposto rispetto a quella emiliana».
ENERGIE – Le analisi sulle energie liberate dalle singole scosse e sulla loro distribuzione nel tempo sono oggetto di studio di un altro dirigente di ricerca dell’Ingv, Warner Marzocchi: «Siamo di fronte a una sequenza sismica importante, caratterizzata da un elevato numero di scosse, di cui le maggiori, con magnitudo compresa fra 5 e 6 Richter, sono finora sette. Considerato l’andamento della sequenza, non possiamo escludere che si ripetano, anche a distanza di tempo, scosse superiori a magnitudo 5», osserva Marzocchi, aggiungendo tuttavia una nota di ottimismo. «Per questo tipo di sequenze vale la Legge di Omori, che prende il nome di un sismologo giapponese, la quale dice che, mediando sul lungo periodo, la sequenza deve mostrare un decadimento dell’energia. In termini concreti, qualche altra scossa forte potrà verificarsi, ma con il trascorrere delle settimane o dei mesi, l’energia a disposizione del sistema si attenuerà considerevolmente».
REPLICHE – E, a proposito delle repliche più importanti finora registrate, bisogna rilevare che, nonostante abbiano arrecato considerevoli danni al patrimonio edilizio già duramente provato, esse sono state, comunque, meno forti rispetto alla scossa iniziale. Dato l’andamento logaritmico della scala Richter, infatti, una scossa di magnitudo 5 libera un’energia di circa trenta volte inferiore a una di magnitudo 6. Questo vuol dire, per esempio, che la scossa di 5.1 del 3 giugno è stata una ventina di volte meno forte di quella da 5.9 che ha segnato l’inizio della sequenza. Molto meno forte, ma non per questo trascurabile poiché, in termini di energia liberata, la scossa del 3 giugno equivale a circa 20 mila tonnellate di tritolo, cioè maggiore della potenza esplosiva della bomba atomica lanciata su Hiroshima nel 1945.
Franco Foresta Martin, da Corriere.it