Le grandi opere (dighe, scavi e trivellazioni) possono causare immani catastrofi: dai terremoti alle eruzioni di fango. Il caso del fracking, una tecnica di trivellazione è emblematico. Ma non è collegato ai terremoti in Italia.
(di Gian Mattia Bazzoli e Luigi Bignami) – Il fracking consiste nella fratturazione idraulica di rocce poco permeabili ricche in petrolio. E’ stato osservato che in determinate aree e in determinate tipologie di sottosuolo, può causare terremoti fino a magnitudo 4.9.
Alcuni blog hanno collegato il sisma nel modenese/ferrarese a operazioni di fracking. La zona è stata – nel passato – sfruttata per i giacimenti di petrolio (vedi post) e di gas naturale, ma la notizia è falsa perché non ci sono operazioni di fracking attive in Italia. E non ci sono mai state.
Questa tecnica prevede lo sfruttamento della pressione di un fluido, in genere acqua o acqua mista a solventi e composti chimici, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso. La fratturazione serve per sfruttare al massimo i giacimenti di petrolio e gas naturale, ma ha conseguenze sull’ambiente e sull’equilibrio geotettonico della zona. Le fratturazione idraulica delle rocce è infatti uno dei principali colpevole dei terremoti indotti dall’uomo.
«L’acqua utilizzata nel fracking è tanta e altamente inquinata da solventi, gas e petrolio – spiega Marco Mucciarelli, docente di Sismologia Applicata all’Università della Basilicata – ed è difficile da smaltire. Per questo le compagnie petrolifere preferiscono iniettarla ad alta pressione a 6/7 km di profondità, sotto i giacimenti». Purtroppo però l’acqua trova comunque la strada per tornare in superficie e questo genera danni ambientali. Per questo motivo è proibita in Francia e diversi stati americani hanno iniziato a non concedere il permesso di utilizzare questa tecnica.
Ma come detto i pericoli di questa tecnica (che è relativamente recente) sono anche geologici. «La massa d’acqua pompata sottoterra può agire su una faglia – spiega Mucciarelli – innescando dei terremoti». Questo meccanismo è stato recentemente confermato da una ricerca di Stephen Horton dell’Università di Memphis (vedi articolo). «È molto pericoloso iniettare nei pressi di faglie attive» conferma Horton.
Il caso abruzzese
Un’ipotesi che qualcuno ha avanzato anche per spiegare il terremoto in Abruzzo, dove è stato estratto petrolio. Ma gli esperti sono concordi nell’escludere, in questo caso, una relazione. Il terremoto cinese del Sichuan è stato probabilmente causato dalla pressione dell’acqua che ha riempito la diga di Zipingpu. Questa pressione ha agito sulle rocce circostanti e si è scaricata in una faglia lunga 300 km che passa a 500 metri dall’invaso. «Quando si cambia lo stato delle tensioni negli ammassi rocciosi, si possono causare scorrimenti, che si manifestano in genere dove ci sono già punti di debolezza o fratture, come una faglia» spiega Roberto Nova, docente di geotecnica a Milano.
Il caso svizzero
E nel 2007 i residenti della regione di Basilea, in Svizzera, furono spaventati da una serie di oltre 60 terremoti di piccola intensità che culminò con uno di 3,4 gradi Richter. Le ricerche scoprirono che vi era una stretta relazione con lo sfruttamento geotermico dell’area. L’uso di tale energia in quella zona, infatti, richiede l’immissione di grandi quantità di acqua fino a profondità di alcune migliaia di metri dove si riscalda, passa allo stato di vapore e torna in superficie per essere indirizzata negli impianti di produzione elettrica. L’iniezione di acqua sotto pressione ha agito sulle faglie vicino all’area alterandone la tensione, causando così i terremoti.
(da focus.it) |
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