COSA DICONO GLI ESPERTI SUI TERREMOTI DEL 18 GENNAIO

Quattro scosse sopra i 5 gradi di magnitudo hanno scosso di nuovo il cuore dell’Appennino, stavolta in provincia dell’Aquila. È la stessa faglia? E dobbiamo aspettarcene altre?

di Federico Formica, National Geographic – Non è finita. E forse neanche con le quattro scosse del 18 gennaio potremo dire che la sequenza sismica del centro Italia iniziata a fine agosto si è conclusa. Nel giro di un’ora, tra le 10.25 e le 11.25, si sono registrate tre scosse rispettivamente di magnitudo 5.1, 5.4 e 5.3, più un’altra, ancora di 5.1, alle 14.33. Terremoti che sono stati avvertiti anche a Roma, Napoli e in Emilia. Dal 24 agosto a oggi lo sciame sismico non si era mai fermato, ma dopo il 30 ottobre non c’erano più state scosse di questa entità.

Come conferma l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, i terremoti di mercoledì mattina si sono scatenati in provincia dell’Aquila tra Montereale, Pizzoli, Capitignano, Campotosto e Cagnano Amiterno. Località che avevamo imparato a conoscere bene nel 2009, durante quella sequenza sismica che portò poi alla forte scossa del 6 aprile di quell’anno, ma che avevamo “dimenticato” in questi ultimi mesi con scosse che hanno interessato zone più settentrionali: la faglia del monte Vettore e quella di Amatrice, anch’essa più a nord seppure di soli 20 chilometri. 

Quanto è comune una sequenza di scosse così violente e ravvicinate?
Molto poco. La successione di quattro sismi di magnitudo superiore a 5 nell’arco di tre ore “è un fenomeno nuovo nella storia recente per le modalità con le quali si manifestato”, ha detto all’ANSA il sismologo Alessandro Amato dell’INGV. E’ accaduto che siano avvenuti terremoti successivi in tempi ravvicinati, “a volte a distanza di pochi secondi, com’era accaduto nel 1980 in Irpinia; altre volte con un intervallo di dieci ore: il concetto non cambia”, ha detto ancora Amato. “Si sono viste più attivazioni progressive, purtroppo – ha aggiunto – non è chiaro il meccanismo che determina la variazione dei tempi”. 

Si tratta della stessa faglia di agosto e ottobre?
Una risposta definitiva ancora non c’è, ma molto probabilmente sì. “Il sistema di faglia è lo stesso. Questo sistema però è composto da diversi segmenti che a nord arrivano fino a Camerino e, a sud, fino a Montereale” spiega Piero Farabollini, geologo e docente di geo-morfologia all’università di Camerino. I segmenti non sono altro che “pezzi” più piccoli di una stessa faglia. “In mezzo spesso ci sono le cosiddette ‘faglie di trasferimento’, che consentono lo spostamento di energia tra un segmento e l’altro. Ecco perché si ha l’impressione che il terremoto si sposti di continuo tra nord e sud”, continua Farabollini. 

“È probabile che ancora una volta si sia trattato di un fenomeno di ‘contagio sismico’ tra faglie adiacenti” conferma in una nota Andrea Billi dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr (Igag-Cnr). Billi, però, precisa anche che è presto “per sapere con esattezza quale sia stata la faglia (o le faglie) che ha generato tali terremoti”.

Il punto è proprio questo: l’altra ipotesi, meno accreditata ma ancora sul tavolo, è che si sia attivata una nuova faglia. Quella che i geologi conoscono come faglia di Monte Gorzano, che si trova proprio tra Montereale e Campotosto.

Ci saranno altre scosse forti?
Se questa seconda ipotesi dovesse risultare vera, se dovesse cioè essere confermata l’attivazione di una nuova faglia, la risposta più probabile è sì. “In quel caso, i terremoti del 18 gennaio dovrebbero essere interpretati come precursori di un evento più grande, che ancora deve verificarsi” continua Farabollini. Lo studioso precisa però che la faglia di Monte Gorzano, data la sua estensione, non dovrebbe poter produrre terremoti superiori a 6 di magnitudo.

Tornando alla prima ipotesi, più probabile (e anche più rassicurante), le forti scosse di mercoledì sarebbero da considerare “after-shock”, cioè terremoti minori che seguono un evento maggiore (cioè la scossa di magnitudo 6.5 del 30 ottobre). “La storia dei terremoti in quest’area dice che le scosse di after-shock possono essere inferiori di un grado rispetto a quella principale. Da 6.5 a 5.5, rientreremmo in questa casistica” continua Farabollini. Dunque la terra continuerà a tremare ma, in questo caso, le scosse “non dovrebbero superare il 4 / 4.5 di magnitudo”.

“Molti non si aspettavano l’attivazione del lato sud della faglia, ma era preventivabile: l’instabilità che si è creata nel sistema appenninico a partire da agosto è molto grande. E nei prossimi mesi potrebbero attivarsi altri segmenti che fanno parte di questo sistema” spiega Gianni Scalella, geologo della Regione Marche. “La più nota è la faglia del monte Vettore, ma sono convinto che ci siano altri segmenti, posti in profondità, che noi ancora non conosciamo. Dobbiamo quindi aspettarci altri terremoti anche se, probabilmente, di intensità non superiore a quelli di mercoledì 18 gennaio”.

Quando si saprà con precisione quale faglia si è mossa?
Secondo gli esperti è questione di massimo un paio di giorni, probabilmente meno. Le scosse delle prossime ore, infatti, forniranno maggiori informazioni ai geologi che, associando gli ipocentri alle faglie, riusciranno ad essere più precisi.

Perché la magnitudo è cambiata? Pochi minuti dopo il secondo terremoto di mercoledì mattina la magnitudo era stata fissata a 5.7. Circa mezz’ora più tardi, però, il dato è stato ritoccato a 5.3. Uno scarto che spesso genera confusione nella popolazione, ma che è ben noto agli addetti ai lavori. Il motivo è semplice: “Le prime misurazioni non sono quasi mai corrette al 100 per cento. Il primo dato, infatti, deve essere corredato dalle informazioni fornite da altri sismografi posizionati sul territorio. Quando la magnitudo viene ritoccata al ribasso, significa che è subentrata la correzione degli altri sismografi. Ed è quello il dato più preciso” spiega Farabollini.

fonte: National Geographic

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