Il 7 e 11 maggio 1984 due forti terremoti colpirono un’area dell’Italia centrale che si trova tra Abruzzo, Lazio e Molise, a pochi giorni dal terremoto che colpì l’Umbria e di cui abbiamo già parlato qui.
La prima forte scossa avvenne alle 19.49 (ora italiana) del 7 maggio ed ebbe una magnitudo Mw pari a 5.9. Il giorno 11, alle ore 12.41, ci fu un second forte evento di magnitudo Mw 5.5. Molte altre scosse, anche superiori a magnitudo 4, avvennero tra i due eventi principali e seguirono nelle settimane e mesi successivi.
Le due forti scosse di terremoto causarono danni, fino all’VIII grado MCS, in una vasta area comprendente la Marsica, i Monti della Meta e le alte valli dei fiumi Sangro e Volturno, a cavallo tra le province di Frosinone, Isernia e dell’Aquila (Marsica).
I danni maggiori si verificarono ad Alfedena, Colli a Volturno, Pizzone, Acquaviva d’Isernia, Ateleta, Bugnara, Opi, Pescasseroli, Villa Scontrone, Villetta Barrea e altre località vicine. Danni moderati e leggeri in numerose località delle province dell’Aquila, Chieti, Pescara, Isernia, Campobasso e Frosinone.
A 30 anni dall’inizio di quella attività sismica proviamo a fare il punto sulle conoscenze della geologia dell’area e sui motivi della sua sismicità, contrassegnata anche da altri terremoti di magnitudo moderata in epoca storica, tra cui gli eventi del 24 marzo 1693 (Mw stimata 5.2) e del 6 dicembre 1874 (Mw 5.5).
La zona in cui è avvenuta la sequenza del 1984 è interessata da una serie di faglie (individuate principalmente tramite studi di geologia di superficie), che sono il risultato di una lunga storia deformativa. Circa 2 milioni di anni fa nell’area della Marsica è iniziata una tettonica distensiva, tutt’ora in atto, e le precedenti strutture compressive (quelle responsabili della costruzione dell’edificio appenninico) sono state dislocate da faglie normali (o estensionali, ossia causate da un processo di estensione crostale). Conoscere la storia geologica dell’area marsicana è particolarmente importante per capire il significato delle faglie oggi presenti nell’area. La figura sotto mostra le evidenze in superficie dei sistemi di faglie che attraversano la regione.
L’elemento principale dell’area è la faglia estensionale che disloca ad ovest la dorsale carbonatica della Montagna Grande, con un movimento di tipo diretto, o normale. Tale struttura è costituita da un segmento settentrionale, denominato faglia di Monte Marsicano, che si sviluppa in direzione cosiddetta appenninica (N145°) e da un segmento meridionale, denominato faglia di Monte Greco, che si sviluppa per circa 10 km in direzione circa est-ovest. La faglia di Monte Marsicano immerge mediamente verso sud di circa 60°; quella di Monte Greco verso sud-ovest di circa 80°. Quest’ultima rappresenta, infatti, una “vecchia” faglia legata alla fase compressiva, riattivata con movimenti distensivi durante la fase tettonica iniziata nel Pleistocene e tuttora in atto. Partendo dall’abitato di Barrea e a sud della faglia di Monte Greco si sviluppano quattro segmenti di faglia caratterizzati da movimenti di tipo distensivo, tutti con direzione circa appenninica ed immergenti verso sud-ovest di circa 60°, che costituiscono il cosiddetto “sistema di Barrea”.
Sulla definizione delle strutture dell’area c’è un sostanziale accordo tra i molti autori che hanno studiato la zona. Non c’è invece accordo sulla ricostruzione della genesi e dell’evoluzione della sequenza sismica del 1984, anche a causa del fatto che non si sono avute rotture in superficie durante i terremoti principali.
Il modello sismotettonico proposto Pace et al. (2002), mostrato nella figura sopra, individua in questa particolare disposizione delle faglie la spiegazione dell’evoluzione della sequenza del terremoto del 1984. Nello studio citato, si suggerisce infatti un fenomeno di “barriera” alla propagazione della sismicità per spiegare la disposizione delle repliche successive all’evento del 7 maggio. Secondo gli autori, in accordo con i meccanismi focali della sequenza, l’episodio di rottura principale (scossa del 7 maggio) avrebbe interessato un segmento di faglia diretta ad immersione occidentale appartenente al sistema di Barrea. Il processo di rottura si sarebbe propagato dall’ipocentro verso la superficie e verso nord-nord-ovest, fino ad interrompersi bruscamente in corrispondenza della faglia del Monte Greco. Quest’ultima avrebbe agito da barriera alla propagazione della rottura e al tempo stesso da struttura di trasferimento della deformazione, determinando l’intensa deformazione in corrispondenza dell’intersezione fra le due faglie, osservata in seguito al terremoto.
Una differente interpretazione dell’evoluzione della sequenza di Barrea del 1984 è stata recentemente proposta da Milano e Di Giovambattista (2011) ed è mostrata nella figura sotto. Questi autori hanno rivisto la localizzazione degli epicentri ed i meccanismi focali; sulla base di questi dati ipotizzano che la sequenza sia iniziata su una faglia orientata nordest-sudovest, conosciuta in letteratura come “lineamento strutturale Ortona – Roccamonfina”, con la prima scossa del 7 maggio, e si sia quindi propagata verso nordest. La forte scossa dell’11 maggio indicherebbe l’inizio della seconda fase della sequenza, che avrebbe interessato le faglie di M.te Greco e del sistema di Barrea, come si può osservare anche dalla diversa orientazione della rottura (da Est-Ovest a Nordovest-Sudest), mostrata nei meccanismi focali.
a cura di Francesco Visini, INGV-AQ, Carlo Meletti, INGV-PI.
Bibliografia
Milano e Di Giovanbattista, (2011), Seismicity at the border between Central and Southern Apennines (Italy): Re-evaluation of the early 1984 instrumental earthquake, Tectonophysics, 2011, 92-104.
Pace, Boncio e Lavecchia (2002), The 1984 Abruzzo earthquake (Italy): an example of seismogenic process controlled by interaction between differently oriented synkinematic faults, Tectonophysics, 350, 237-254.
fonte: ingvterremoti.wordpress.com