di Marco Morante, da collettivo99.org
L’enorme tragedia del terremoto aquilano – e ciò che ne segue – sollecitano le menti libere, incondizionte, oneste ed assetate di futuri migliori ad alcune possibilita’ alternative da comprendere, perseguire, approntare, attuare e sviluppare al più presto, in opposizione ai tanti elementi che fino ad oggi hanno condotto su altri percorsi della storia.
E’ una questione di metodo e di sostanza secondo il principio che, a L’Aquila ancora più che altrove, non basti semplicemente fare, ma sia determinante fare bene.
Chi ha l’onere e la responsabilita’ della scalta e’ bene che affronti tali questioni di metodo, che prenda piena coscienza delle conseguenze di ciascuna singola decisione e le ponderi non in relazione agli interessi di pochi ma nell’interesse comune, discutendone nelle sedi opportune, dichiarando obiettivi, rispondendone, fino a rimettere i propri mandati al giudizio della cittadinanza in caso di mancato mantenimento delle promesse formulate.
La prima alternativa riguarda il MODELLO URBANISTICO che L’Aquila costuituiva rispetto alla citta’ diffusa, la cosiddetta sprawl town che dilaga sulla costa adriatica come nei Paesi Bassi, nella Pianura Padana come in ampie parti degli Stati Uniti e della Cina. Un modello che ci e’ stato consegnato attraverso i secoli dal sinecismo che operarono i novantanove castelli della leggenda federiciana. Un modello che neppure i tanti terremoti ed i tanti avvicendamenti di potere succedutisi negli anni avevano messo in discussione.
Un modello multipolare calato in un territorio dalle alte qualita’ ambientali che si rappresentava in un grande centro, non antagonista ma di unione sinergica delle diversita’ e che ancora reggeva come elemento attrattivo nonostante la crisi occupazionale, economica ed infrastrutturale incui versava L’Aquila gia’ prima del sisma.
Il rischio che sta dietro allo snaturamento di questo delicato equilibrio si chiama dispersione.
La seconda alternativa e’ direttamente connessa alla prima e tratta della REVERSIBILITA’ in cui avrebbe dovuto consistere la fase intermedia, rispetto al nuovo assetto definitivo e difficilmente compatibile con il “modello aquilano” del muscolare progetto C.a.s.e. Una alternativa su cui e’ ancora bene riflettere, non più tanto per L’Aquila, quanto per le future catastrofi a cui il nostro Paese si trovera’ a far fronte.
E’ una alternativa che richiama la divisione tra gestione della fase intermedia post-catastrofe che può essere operata, nel caso in questione dalla Protezione Civile e la fase della ricostruzione e della nuova pianificazione che deve rimanere scelta delle comunita’ locali.
Il rischio che fa capolino dietro alla definitivita’ degli interventi emergenziali e’ quello di far gravare per decenni sul territorio scelte figlie di un attimo.
Ciò porta ad argomentare la terza alternativa possibile del caso aquilano, quello relativo alle MACERIE ed alla possibilita’ di vederle – come ha dimostrato il popolo delle carriole – non solo come indubbio gravame da rimuovere, ma come valore sia per ciò che e’ possibile recuperare dalla sua differenziazione che per l’opportunita’ di lavoro che ne può derivare attraverso il coinvolgimento della popolazione locale.
E’ l’alternativa al sistema della rimozione, anche questa muscolare, che si e’ scelto di operare mediante l’intervento – peraltro tardivo – dell’Esercito quando le infrazioni domenicali hanno portato l’obiettivo delle telecamere su quanto, all’Aquila, era ed e’ ancora solo da pensare.
Ciò rimanda all’inopportunita’ di operare con azioni centraliste, di forza, non attente alle peculiarita’ del contesto a cui e’ alternativa una politica delle PONDERAZIONE FONDATA SULLA SERENITA’ che solo il ricorso alle competenze può garantire.
E’ una alternativa di approccio che risulta quantomai urgente e che e’ bene pretendere, anche se ciò dovesse significare contestare e proporre con forza approcci ed organizzazioni più consone alla complessita’ delle situazioni.
Il rischio e’ l’autarchia del pensiero decisionale.
Il fatto che la ricostruzione sia in forte ritardo e che non via sia una chiara ed AMBIZIOSA IDEA DI CITTA’ pone la quinta alternativa alla citta’ fai-da-te, che e’ quella – ancora ed ormai ad un anno dal sisma – di un PROGETTO ampio ed interdisciplinare che sia uno, discusso, condiviso, innovativo e lungimirante e che sappia guardare tanto alla sua piena esecuzione tra qualche decennio che alle sue fasi intermedie. Una idea che eviti l’indecente corsa all’occupazione casuale ed egoistica delle aree libere della citta’. Un progetto come unica strada per dare speranza ed aspettativa alla popolazione e per tamponare gli effetti deleteri ed incontrollabili della approssimazione a cui e’ abbandonato il cosiddetto “cratere”.
Il rischio e’ la depressione e lo spopolamento.
Si diceva della lungimiranza, della capacita’ di dare aspettative lunghe e della necessita’ di attrattivita’ della citta’. Chi potrebbe trovarne nella “sola” ricostruzione del “com’era-dov’era”? Un territorio con la storia e le ambizioni di quello aquilano deve saper fin da subito trovare una alternativa finache alla RICOSTRUZIONE, pensando e sviluppando una RICONVERSIONE di ciò che era ai più avanzati principi di sostenibilita’, ai più moderni esempi di infrastrutturazione turistica, ad una armatura urbana che trovi sostanza nelle reti ambietali, ad un territorio che torni ad essere naturalmente produttivo. Si tratta di quel progetto di Riconversione oltre la Ricopstruzione a cui il collettivo99 lavora dalle settimane di poco successive al sisma e gia’ proposto a tutti i soggetti più o meno responsabili della ricostruzione.
Il rischio e’ di ritrovarsi nuovamente vecchi.
Le sesta alternativa sorge dalla inadeguatezza mostrata dal patrimonio edilizio aquilano – ed italiano in genere – che e’ bene inneschi una RICERCA CAPACE DI SUPERARE IL RITARDO TECNOLOGICO che sta all’origine di detta inadeguatezza e che per molti aspetti ancora interessa i saperi progettuali e costruttivi diffusi in Italia.
Con ciò non si intende richiamare solo ad una una revisione di quei sistemi strutturali che si sono dimostrati incapaci di fronteggiare il sisma, ma in senso più ampio delle tecnologie costruttive tutte, con il coinvolgimento più ampio della prefabbricazione, del risparmio energetico, della riduzione dei tempi di costruzione e del miglioramento dell’efficienza impiantistica, della predisposizione ad una maggiore flessibilita’ funzionale, del controllo dell’intero ciclo dei materaili utilizzati, di un sapiente uso della “strategia dell’innesto” che sappia integrare l’esistente architettonico ed urbano di quei valori aggiunti che le situazioni richiedono ed, infine e non ultimo, di una più consapevole gestione morfogenetica che questi, come altri fattori del costruire contemporaneo, dettano per la determinazione della forma dell’edificio.
Il rischio e’ di non saper raccogliere la sfida che la crisi pone all’architettura.
La necessita’ che pare emergere dalla constatazione di tutte le precedenti alternative possibili, fino ad ora inascoltate ed inapplicate, e’ quello della MILITANZA E DELLA VIGILANZA che tutti, in tutti i campi di azione a partire da quello di cittadini, dovremmo esercitare. Cittadini, tecnici, impiegati, sociologi, muratori, avvocati, imprenditori, politici militanti per una messa in valore e tutela dei diritti della citta’, del suo futuro e delle alternative possibili che il caso aquilano sta mettendo in evidenza.
E’ una alternativa all’impoverimento della polotica, alla sua presunzione di poter gestire problemi semplici e complessi senza il coinvolgimento di saperi ampi e condivisi, senza senso di responsabilita’ e di senso civico, senza la debita considerazione di un impegno civile e responsabile in ogni azione che ogni singlo compie, piccola o grande che sia.
Il rischio e’ di non tenere fede all’alto ruolo sociale di cui l’architetto e’ depositario.
Il perseguimento del bene comune sarebbe vieppiù garantito se, alla politica fatta entro le quattro mura, si attuasse l’alternativa della PARTECIPAZIONE, della CONDIVISIONE e della MEDIAZIONE. Con esse non vuole intendersi soltanto quella del confronto con folle oceaniche disorganizzate ed armate di falci e forconi, ma la messa a punto di sistemi avanzati di discussione e rcepimento di proposte che va dalle assemblee cittadine ai concorsi di idee, dall’utilizzo interattivo dei siti internet istituzionali al finanziamento di gruppi di cittadinenaza attiva e propositiva, dalla diffusione terasparente degli atti amministrativi alla messa in discussione dell’”infallibilita’ amministrativa”.
Il rischio e’ l’incapacita’ di rappresentare i veri bisogni e le aspettative della gente.
Ciò ci porta alla decima e fino ad ora ultima alternativa possibile del caso aquilano.
E’ l’alternativa ad un modo di gestire la cosa pubblica distante dagli interessi del cittadino a cui la involuzione faziosa, battagliera, ideologica ed élitaria dei partiti ci ha condotto. Una compromissione che ha portato non solo alla corruzione ma ad un attaccamento alle poltrone che va oltre l’interesse dei cittadini.
L’alternativa e’ dunque quella di una NUOVA GOVERNANCE CIVICA che sappia dare ascolto ai gruppi non solo economici, ma anche sociali, disciplinari, territoriali, storici, ecc., che si preoccupi di mettere a fuoco le idee sulle questioni, in una grande unione trasversale attorno agli interessi della citta’, tutta. E’ un modo che sembra impossibile a chi pratica una politica ormai malata e delle parti, ma che appare sempre più scontata ed ineluttabile a chi i problemi li vive sulla propria pelle.
Il rischio e’ la sconfitta definitiva della citta’.
Alternative possibili non solo per L’Aquila ma per l’Italia!
Ne va del futuro… non solo il nostro.